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Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
Pluralismo qui e altrove PDF Stampa E-mail
(convegno, 30-31 maggio 2007)
André Laliberté1

L’Istituto Interculturale di Montréal, in collaborazione con il Centro di ricerca interdisciplinare sulla diversità in Quebec (Cridaq) e con la Cattedra canadese di ricerca su Islam, pluralismo e globalizzazione (CRC-IPG) dell’Università di Montreal, ha organizzato nel maggio del 2007 un convegno dal titolo: «Pluralismo qui e altrove: Quebec, Africa Nera, popoli autoctoni, Cina e Islam».
L’organizzazione di questo convegno è stata motivata dalla constatazione che nel corso dei secoli diverse società e culture hanno elaborato saperi e pratiche sociali e politiche originali per affrontare la diversità culturale. Questi saperi e queste pratiche si sono sviluppati ben prima che facessero la loro comparsa le nozioni di diritto, di democrazia o di libertà, ma purtroppo sono spesso sconosciute e ignorate.
L’obiettivo del convegno era quello di esaminare, in una prospettiva storica, le pratiche del pluralismo in diverse aree geo-culturali (Quebec, Africa Nera, popoli autoctoni del Canada, Cina e Islam). Si trattava di compiere una prima esplorazione dei diversi modi di affrontare la diversità culturale nelle varie culture. Durante il convegno sono state presentate sei relazioni:
  • Storia degli atteggiamenti nei confronti della diversità culturale in Quebec: dalla Nouvelle France ai giorni nostri (Jacques Lacoursière, storico);
  • C’era una volta la tela di ragno... Riflessioni su alcune virtù del nodo (Africa Nera) (Lomomba Emongo, filosofo, Istituto Interculturale di Montreal);
  • Cina: la diversità culturale nella tradizione cinese. Modalità di comprensione, soluzioni pratiche (Anna Ghiglione, Dipartimento di filosofia dell’Università di Montreal);
  • Popoli autoctoni: la diversità come caratteristica del cerchio cosmico (Michael Rice, mohawk, direttore della scuola superiore Ratihen;te di Kanasatake);
  • Islam: l’umma, una garanzia di diversità? (Yara El-Ghadban e Zakaria Rhani, dottorandi in antropologia presso l’Università di Montreal).
Nel discorso di apertura, Kalpana Das (direttrice generale dell’IIM) ha richiamato i temi del convegno, sottolineando in particolare la necessità di riflettere sulla nozione di interculturalismo. Ha osservato che il Quebec è stato per lungo tempo una terra di immigrazione che accoglieva flussi di persone di cultura europea, portatrici di valori giudeo-cristiani; oggi tuttavia, e più ancora in futuro, l’immigrazione in Quebec sarà prevalentemente asiatica e africana. A suo avviso è importante riconoscere questo pluralismo ed è urgente chiedersi se le nostre concezioni del pluralismo, della democrazia e dei diritti dell’uomo non siano che nozioni occidentali. Nel corso della storia di altre culture sono emerse altre concezioni radicalmente diverse. Quali sono le conseguenze di questa diversità per le società moderne, e in quale misura ciò può rappresentare un problema per l’integrazione in queste società? Kalpana Das ha fatto notare che esistono molti modi di concepire l’integrazione ed ha sottolineato che cercare di trarre insegnamento da esperienze diverse è una fonte di arricchimento, in particolare nei nostri rapporti collettivi con lo «straniero», e stimola la ricerca di idee nuove. Ha quindi invitato i partecipanti a riflettere, durante il convegno, a partire dalle domande che seguono:
  • Quali sono le concezioni del pluralismo al di fuori dell’Occidente?
  • Quali sono i fondamenti spirituali e le cosmovisioni che stanno alla base di questi approcci?
  • Quali sono le pratiche concrete a cui danno luogo?
  • Quali sono le loro conseguenze sociali?
  • Quali sono i punti di convergenza e i punti di divergenza rispetto all’Occidente?
Per sottolineare l’entità delle differenze culturali, Kalpana Das ha concluso la sua introduzione portando l’esempio delle culture degli autoctoni del Canada e degli africani, che promuovono l’oralità.
Le relazioni dello storico Jacques Lacoursière e del direttore della scuola superiore Ratihen;te di Kanasatake, Michael Rice, ci hanno ricordato fino a che punto è diventata assurda l’espressione «quebecchese di antica stirpe», utilizzata inizialmente per definire una determinata popolazione rispetto agli immigrati. Con essa si intende indicare i discendenti dei coloni di origine francese e inglese rispetto a ulteriori flussi migratori provenienti da altri paesi d’Europa e in seguito da altri continenti. Michael Rice ci ha tuttavia gentilmente ricordato che la storia del Quebec era iniziata molto tempo prima che arrivassero i primi coloni.
Lo storico Jacques Lacoursière ha cominciato con una battuta, chiedendosi fino a che punto la provincia del Quebec è una «terra di accoglienza» o una «terra di ostacolo»,2 e ha ricordato che l’atteggiamento degli abitanti del Quebec nei confronti dell’immigrazione ha subito notevoli variazioni nel corso dei decenni, così come sono variate le discriminanti a cui si faceva ricorso per definire gli abitanti del territorio. In un primo tempo si faceva distinzione fra i diversi popoli autoctoni, poi fra questi ultimi e i nuovi arrivati dall’Europa, poi tra francesi e inglesi, ma anche fra cattolici, ugonotti, protestanti ed ebrei. Questo richiamo è stato importante perché ci ha aiutati a prendere coscienza del fatto che la diversità è concepita in base a distinzioni di vario tipo e che non c’è nulla di fisso in tutto ciò.
Michael Rice e il suo commentatore, Pascal Galvani, professore al Dipartimento di Scienze umane dell’Università del Quebec di Rimouski, hanno messo in luce la diversità dei modi in cui i popoli autoctoni del Canada concepiscono l’alterità. Hanno ricordato l’importanza dell’oralità nella cultura mohawk e il pluralismo delle cosmovisioni espresse dai miti dell’origine del mondo. All’interno della sola comunità mohawk esistono versioni diverse del mito delle origini, e non si è mai sentito il bisogno di arrivare a un consenso unanime su una versione comune.
Il convegno si è preoccupato di mettere in luce anche le concezioni della diversità che contraddistinguono altre civiltà, come quella islamica, cinese e africana, da cui proviene un numero crescente di immigrati che scelgono il Quebec come terra d’accoglienza. L’Islam, la Cina e l’Africa possiedono modalità ben distinte di rappresentazione e di comprensione della diversità. Tutto ciò è importante per il presente e per il futuro.
La relazione intitolata «Islam: l’umma, una garanzia di diversità?», presentata da Yara El-Ghadban e Zakaria Rhani e commentata da Samia Amor, ha evocato in primo luogo la diversità culturale all’interno del mondo islamico, mettendo in discussione in tal modo la pericolosa semplificazione operata dagli islamisti radicali e dai loro avversari, che partono dall’idea di un’unica realtà islamica indifferenziata. Buona parte della relazione è stata dedicata al tema della gestione della diversità nel contesto dei rapporti con i dhimmi (un termine che include «i popoli del Libro», cioè i cristiani e gli ebrei, e altri soggetti non musulmani all’interno degli stati islamici). Poi è stata affrontata la questione della laicità, che ha suscitato molti interventi da parte del pubblico, con particolare riferimento al sistema dei millet, con cui è stata gestita la presenza di comunità religiose e nazionali diverse all’interno dell’impero ottomano. Alcuni partecipanti hanno richiamato l’attenzione sull’islam africano, di cui nessuno parla, e altri hanno indicato nell’accettazione della laicità da parte dei nuovi arrivati di estrazione musulmana (di cui solo il 15% frequenta la moschea) un fattore di integrazione nella società di accoglienza.
La terza relazione («Cina: la diversità culturale nella tradizione cinese. Modalità di comprensione, soluzioni pratiche»), presentata da Anna Ghiglione e commentata da André Laliberté, ha suscitato a sua volta vari interventi sulla difficoltà di gestire i rapporti fra comunità diverse. In questo caso, ciò che veniva messo in discussione non era tanto una presunta incompatibilità dei fondamenti della cultura cinese, quanto la politica della Repubblica popolare della Cina, che secondo alcuni di coloro che hanno preso la parola non sa gestire la propria diversità se non con metodi autoritari.
L’ultima relazione («C’era una volta la tela di ragno... Riflessioni su alcune virtù del nodo»), presentata da Lomomba Emongo e commentata da Gilles Bibeau, professore al Dipartimento di antropologia dell’Università di Montreal, ha messo in luce un altro modo di gestire la diversità. La questione della diversità è stata evocata attraverso la descrizione di alcune realtà africane: l’interculturalità che costantemente si sperimenta sul piano dell’oralità e del pluralismo linguistico, e la nozione di meticciato.
Esaminando gli interventi del pubblico, il tenore delle relazioni e le osservazioni dei commentatori, possiamo concludere che i partecipanti al convegno hanno riconosciuto l’importanza di prendere in considerazione le concezioni e le pratiche dell’interculturalità che si riscontrano al di fuori del mondo occidentale. È stato notato che gli approcci adottati dall’India, e in generale da tutta l’Asia del Sud, offrirebbero un’ulteriore, valida prospettiva. In sintesi, è apparso chiaro che la questione dell’interculturalità e dell’accettazione della diversità così come è affrontata dalle varie culture dovrà essere approfondita negli anni a venire, perché le realtà demografiche presenti e future rendono ineluttabile l’incontro delle differenti concezioni della diversità.  

1. Dipartimento di Scienze politiche, Università di Montreal.
2. N.d.t. – Gioco di parole fra accueil (accoglienza) e écueil (scoglio, ostacolo).