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Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
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(due italiani nella riserva indiana di Akwesasne – Olimpiadi 1980)
intervista a Mario Capanna

Durante l’incontro che abbiamo avuto la scorsa estate, Tom Porter ci ha incaricati di portare i suoi saluti a Mario Capanna, ricordando l’importanza che ha avuto per lui e per i Mohawk di Akwesasne il sostegno ricevuto da lui e da Luciano Neri quando, durante le Olimpiadi invernali del 1979, la riserva era venuta a trovarsi in una situazione di estrema difficoltà.
Potrebbe raccontarci qual era la situazione?

Nel novembre del 1979 alcuni bambini appartenenti alla comunità mohawk scoprono che il governo statunitense sta abbattendo degli alberi (che per la cultura indiana sono sacri) nella loro riserva (situata a 500 miglia a nord di New York, al confine con il Canada, lungo il fiume San Lorenzo, nella zona dei Grandi Laghi) perché ha scoperto un ricco giacimento di carbonio che ha deciso di estrarre, nonostante i trattati internazionali lo impediscano. In particolare Washington ha intenzione di costruire un porto fluviale destinato al trasporto. Gli indiani sequestrano gli attrezzi e cacciano gli operai, provocando la reazione di Washington, che non solo emette dei mandati di cattura nei confronti dei capi della comunità Mohawk, ma ordina alle truppe federali di circondare addirittura la riserva, chiedendo la resa degli indiani. Fallito il negoziato, con il governatore dello Stato di New York che lo guida personalmente dall’alto di un elicottero, e visto che gli indiani sono pronti a tutto pur di non arrendersi, scatta l’assedio, che porta all’uccisione di due indiani.

Come ne è venuto a conoscenza?
Da un telefonata di Luciano Neri, un giovane battagliero responsabile del dipartimento Esteri di Dp (Democrazia Proletaria), che era andato negli Stati Uniti con una borsa di studio dell’università di Urbino per condurre una ricerca sull’estrazione dell’uranio nelle riserve indiane e sulla deportazione dei nativi americani. Giunto a New York e venuto a conoscenza della vicenda, si era unito al popolo Mohawk nella sua lotta contro il governo statunitense.

Qual è stato l’intervento suo e di Luciano Neri?
Prima di tutto, come deputato europeo, ho denunciato la situazione al Parlamento di Bruxelles, presentando un’interpellanza al Consiglio dei ministri degli Esteri ed organizzando a Strasburgo una conferenza stampa, che ha fatto parlare della storia quasi tutti i giornali europei. Ho poi convocato una seconda conferenza stampa a Milano ed ho tempestato di telefonate l’ambasciata statunitense. Le autorità di Washington sono state costrette ad abbassare i toni e a togliere l’assedio, ma hanno continuato i controlli e le interferenze.
Mi sono poi recato personalmente ad Akwesasne per convincere la comunità Mohawk ad organizzare un’imponente  manifestazione il 18 febbraio a Saranac Lake, durante la fase centrale delle Olimpiadi di Lake Placid del febbraio 1980, in un territorio appartenente secondo gli antichi trattati al popolo Mohawk, ma già da tempo confiscato, per richiamare l’attenzione mondiale sul problema dei nativi d’America e per ridare fiducia a tutti gli altri popoli indiani. La decisione viene presa collettivamente, non senza obiezioni, da tutta la comunità, passando attraverso il vaglio del consiglio dei capi, dell’assemblea di tutto il popolo e di quella dei tre clan. Vengono inoltre inviati degli ambasciatori per informare gli altri 5 popoli che compongono la confederazione delle sei nazioni irochesi: i Cajuga, gli Oneida, gli Onondaga, i Seneca, i Tuscarora: anch’essi offrono il loro appoggio.
La manifestazione si concretizza in un corteo pacifico seguito da moltissimi giornalisti: parla prima il capo Oren Lyons e poi il sottoscritto, esaltando il coraggio degli indiani ed il carattere esemplare della loro lotta, nonché gli insegnamenti morali, culturali e politici da loro ricevuti. La situazione viene così resa nota in tutto il mondo, anche all’Onu, per cui i presidi vengono tolti e i mandati di cattura revocati.

Che conseguenze ha avuto tutto ciò per i Mohawk e in particolare per Tom Porter nel difficile cammino di riscoperta delle proprie radici e di resistenza all’erosione sistematica delle loro terre e della loro cultura?
Ha ridato vigore e slancio alla volontà dei nativi d’America di resistere al tentativo di metterli a tacere attraverso i metodi raffinati ed invisibili della neocolonizzazione, se non attraverso la spoliazione e l’aggressione. Akwesasne, ad esempio, è circondata da fabbriche altamente inquinanti, come industrie di alluminio, petrolifere e concerie, tanto che la vita media degli indiani è di soli 40 anni. Essi hanno deciso di resistere ad ogni costo, costringendo di volta in volta il governo federale a concedere qualcosa, sulla base degli antichi trattati, oppure ad assumersi la responsabilità di sterminarli.

Quali le sembrano essere i punti essenziali della cultura mohawk?
La comunità mohawk e gli altri popoli della confederazione degli Irochesi sono nazioni autonome e sovrane rispetto al governo statunitense, come sancito appunto dagli antichi trattati, che però il governo federale cerca sempre di violare. Parlano la loro lingua, mentre l’inglese viene considerata come seconda.
Al dominio della techne (le radici della violenza, secondo Emanuele Severino), i Mohawk oppongono l’armonia del rapporto uomo-natura-ambiente, la concezione di una società senza classi, l’eguaglianza tra gli uomini e le donne, tra i popoli e le nazioni. Ovvero l’equilibrio della «Creazione» (il contrario, sul piano religioso e filosofico, della gerarchia stabilita dal Dio creatore del mondo), fondato su un misto di immanentismo panteistico e di animismo: tutto vive ed è destinato a vivere in un equilibrio perenne e dialettico, per cui è folle chiunque punti a distruggere la natura. A rompere questo loro equilibrio, in realtà, ha già provveduto il mondo occidentale, con l’arrivo in America di Cristoforo Colombo, ma sarà ancora possibile sopravvivere se la natura sarà aiutata ad aiutarli. Quella dei Mohawk e più in generale degli Irochesi è una società comunistica, come già aveva intuito Friedrich Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, in cui nel terzo capitolo («La gens irochese») parla degli indiani senza averli conosciuti direttamente, ma sulla base del libro Lega degli irochesi di Lewis Henry Morgan. La loro è una cultura che, se si affermasse, porterebbe alla liberazione di tutta l’umanità.
Fra i Mohawk, le donne sono l’asse portante di perpetuazione della nazione. A loro spetta un grande potere, ad esempio tocca alle madri anziane dei clan destituire i capi, dopo tre avvertimenti, se si discostano gravemente dagli interessi della comunità.
La loro è una democrazia reale, come provato nel prendere la decisione di organizzare la manifestazione: tutto viene stabilito solo dopo una consultazione collettiva, provando fino all’ultimo a convincere il dissenziente, che comunque si cerca sempre di non far sentire escluso, ma anzi è ascoltato considerando importante il suo punto di vista. Addirittura, se il punto di vista contrario è molto esteso, la decisione non viene presa, per non creare delle fratture all’interno della comunità.

Come dovrebbero comportarsi secondo lei gli «amici» occidentali dei Mohawk per non cadere in forme sottili e insidiose di «occidentocentrismo» e di «neocolonialismo culturale»?
Ascoltare, più che parlare. Vale a dire: cogliere tutta la modernità e tutta la portata innovatrice della cultura e della visione del mondo dei nativi d’America e aprire un dialogo autentico con loro. Un confronto da pari a pari, per il bene comune.

Tom ci ha detto che lei ha guidato le manifestazioni dei Mohawk alle Olimpiadi, e che Luciano Neri è rimasto con loro per un anno intero. Che tracce ha lasciato dentro di voi questo incontro e questo contatto prolungato con i Mohawk?
I giorni che ho vissuto con loro sono stati tra i più belli della mia vita. Hanno rafforzato in me il valore di una visione equilibrata dei problemi umani e del mondo.

L’incontro con la cultura Mohawk ha arricchito e modificato il suo modo di affrontare i problemi politici, sociali e umani nel nostro contesto occidentale moderno? Se sì, come?
Sì, l’incontro con i Mohawk ha modificato profondamente il mio modo di pensare. In particolare per quanto riguarda il rapporto tra la tecnica e la natura. Oggi, di fronte al grande pericolo rappresentato dai mutamenti climatici, è evidente che bisogna ridare priorità alla salvaguardia degli equilibri fra uomo-lavoro-natura-politica.
Al primo posto non va messo il profitto, ma il destino dell’umanità, affinché la sua stessa sopravvivenza non sia più minacciata. Questo deve essere il nuovo compito della politica. Ricordando sempre che, se andremo avanti ad inquinare la terra, i mari, l’aria e a distruggere gli equilibri del pianeta, quel giorno non potremo sopravvivere mangiando i dollari.