Menu Content/Inhalt
Home arrow Associazione arrow Notizie arrow La frontiera dell'incontro

In evidenza

 
Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
La frontiera dell'incontro PDF Stampa E-mail
(ritorno a casa dopo il viaggio fra i Mohawk)
di Adele Cozzi

La «scuola estiva internazionale», organizzata dall’IIM e realizzata in parte in Canada (a Montreal) e in parte negli Stati Uniti (presso la comunità mohawk di Kanatsiohareke, Fonda, NY), non è stata uno studio astratto, accademico, della «cultura» irochese mohawk. È stata un incontro con Kevin, Charlie, Darryl, Michael, Tom... persone in cui quella cultura vive.
Credo che tutti noi che abbiamo partecipato siamo stati coinvolti a tutti i livelli: emozionale, intellettuale, spirituale. È stato un incontro vivo, che ha lasciato una traccia profonda.
So che abbiamo soltanto sfiorato un mondo diverso, che abbiamo soltanto toccato una frontiera. In lingua mohawk, quella che noi chiamiamo «frontiera» (barriera, separazione) si dice: «dove i due stanno insieme». E qui ho cominciato subito a rendermi conto che dovevo mettere da parte le mie categorie e stare ad ascoltare.
Ascoltando, a poco a poco mi sono resa conto che le mie etichette non servono: non posso appiccicarle da nessuna parte. Per tradurre una sola parola mohawk ci vuole spesso una lunga spiegazione, e più spesso ancora un racconto; nella presunta ricchezza delle nostre lingue occidentali, quella parola semplicemente non esiste, perché la parola non è un’etichetta, è l’espressione di una visione del mondo.
Dunque è impossibile dialogare? No! È proprio qui che il dialogo comincia, su questa frontiera «dove i due stanno insieme», in un rapporto di reciproca simpatia e gratitudine. Una frontiera a cui ci si accosta disarmati, non solo di bombe e fucili, ma anche di logiche e categorie culturali, ricchi soltanto di silenzio, di curiosità, della propria verità profonda con le sue luci e le sue ombre, le sue risposte e soprattutto le sue domande, il suo «sapere di non sapere»...
Al ritorno, quando qualcuno mi ha chiesto qual è la «religione» dei Mohawk, mi sono accorta che non riuscivo a rispondere. Quello che avevo intravisto era una spiritualità che permea semplicemente ogni cosa (il rapporto col Mistero, la politica, la società, la tecnica...), senza compartimenti stagni. Come applicare le nostre categorie di trascendenza, immanenza, animismo o che altro? Perché fagocitare la differenza, e in definitiva eliminarla incasellandola dentro schemi che non le appartengono?
La strada mi sembra un’altra. L’ho intravista ascoltando Tom Porter, nella sua comunità tornata da qualche anno nell’antica «valle dei Mohawk», in quello che noi chiamiamo lo «stato di New York». Parlando delle spiritualità tradizionali di altri popoli, Tom diceva: «Ho ascoltato i celti in Irlanda o un capo religioso africano, e mi sembrava di ascoltare un Mohawk. C’è uno spirito universale che è dappertutto. Le radici profonde si incontrano. Quando questa sacralità, questa spiritualità viene istituzionalizzata, si produce una frattura e si comincia a stabilire chi è “dentro” e chi è “fuori”. Non è più una ricerca della sacralità della vita».
Le radici profonde si incontrano... Dove sono le nostre radici? Lì ci potremo incontrare, forse senza parole, forse con parole fatte di simboli e di poesia, celebrando la vita in tutta la sua ricchezza, la nostra e quella dei Mohawk e quella di tutti i «diversi» del mondo, nella libertà e nell’armonia. Non un unico suono, ma una sinfonia in cui ciascuno ha il suo posto e la sua voce (il «grande cerchio della vita» di cui tanto ci hanno parlato i Mohawk).
Ma dove sono le nostre radici profonde? Dove cercarle?
In quale momento ha cominciato a dilagare la colata di asfalto che ha reso impenetrabile il suolo sotto i nostri piedi? Che cosa c’era prima di Galileo? E prima di Costantino? Perché il Natale cade il 25 dicembre? Per cancellare la festa del Sol invictus, o per viverla profondamente?
In quale momento il razionalismo è entrato nella teologia cristiana, facendo della fede una questione puramente dottrinale o puramente morale, e dell’uomo un composto di due elementi separati, anima e corpo? In quale momento abbiamo smesso di essere “corpo, anima e spirito”, e perché?
In quale momento abbiamo smesso di parlare e di comprendere il linguaggio dei simboli, e perché? Come impararlo di nuovo? Non si può studiarlo come si studia l’inglese o il tedesco. È un modo di essere, è una visione del mondo. Il modo di essere e la visione del mondo non si cambiano come un vestito. Non basta decidere di cambiarli. Possono solo germogliare pian piano, in un modo spesso imprevedibile e inatteso.
Forse, quello che possiamo fare è soltanto cercare, guardare, ascoltare, tacere, fare spazio, essere molto sinceri con noi stessi. E in questa ottica anche studiare, lavorarci seriamente. Ma senza pretese e senza fretta.
A questo cammino dentro di me, dentro la mia cultura, dentro la mia verità profonda mi ha condotto l’incontro con la «diversità» dei Mohawk.