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Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
Prefazione al N. 10 PDF Stampa E-mail
di Kalpana Das

Nella maggior parte dei paesi occidentali, la questione della diversità culturale e religiosa è stata percepita in termini di problemi posti dall’immigrazione e di integrazione degli immigrati nelle culture dominanti delle società di accoglienza. Negli ultimi tre decenni, i governi e le istituzioni del Canada e del Quebec hanno introdotto politiche e programmi finalizzati alla gestione della crescente diversità culturale e religiosa all’interno dei confini nazionali. Le prese di posizione politiche hanno attraversato varie fasi: abbiamo assistito allo sviluppo di politiche diverse, come il multiculturalismo canadese, l’interculturalismo del Quebec, i movimenti sociali anti-razzisti ecc.
In anni più recenti, specialmente nel settore formale e istituzionale, il concetto di «gestione della diversità» è stato preferito a quello di interculturalismo o di multiculturalismo ed è stato posto come modello da seguire per affrontare la questione della diversità. Ultimamente, in Quebec, la nozione di «soluzione ragionevole» (accommodement raisonnable), fondata sulla «Carta dei diritti dell’uomo» del Quebec, viene proposta come lo strumento per la gestione della crescente diversità nell’insieme della società.
In parallelo è andata emergendo anche un’altra pratica per la gestione della diversità e l’integrazione degli immigrati, specialmente nei settori della giustizia, dei servizi sociali e della sanità: la cosiddetta mediazione interculturale. In alcuni paesi europei, e in particolare in Francia, questa pratica si è ampiamente diffusa, secondo vari modelli. La spinta è venuta dal bisogno fortemente avvertito dalle pubbliche amministrazioni di fronte alle differenze culturali. La differenza culturale è percepita come un fattore che può influire negativamente sul buon funzionamento di tali istituzioni e viene considerata come un grosso ostacolo per i professionisti dei servizi socio-sanitari nello svolgimento del loro lavoro.
La «mediazione» come strumento per mantenere l’ordine sociale si è sviluppata all’interno dei sistemi giudiziari. Il modello della mediazione interculturale è stato mutuato dalla pratica giudiziaria della «mediazione» ed è stato applicato alla soluzione dei conflitti nell’incontro fra culture.
In questo numero di InterCulture dedicato alla mediazione interculturale ci limitiamo alla presentazione di alcuni «modelli» e approcci che sono stati elaborati per rispondere, come si diceva sopra, ai bisogni delle istituzioni. Ma è importante notare che la nostra preoccupazione, qui, sono i bisogni non solo delle istituzioni, ma dell’intera società. Le istituzioni non rappresentano necessariamente la cultura di ogni gruppo, e neppure della maggioranza. Rappresentano la cultura del sistema universalizzato della modernità. Nel contesto generale della società, che sta diventando radicalmente diversificato, ci sono molte più cose da dire sull’argomento, ed è necessario superare la prospettiva integrazionista della mediazione dei conflitti fra la cultura dello Stato e delle sue istituzioni e le culture di popolazioni diverse all’interno di una data società. Nel contesto attuale le sfide del pluralismo sono molto più complesse, e le società si trovano di fronte all’esigenza di trovare nuove modalità di convivenza evitando gli errori del colonialismo, della dominazione, dell’egemonia e dell’omogeneizzazione. La diversità o la differenza culturale sono soltanto una fonte di conflitto, o sono anche una fonte di arricchimento e di trasformazione della società?
Dobbiamo affrontare tre questioni chiave:
  1. Non si possono ridurre i bisogni di una società nel suo insieme ai bisogni delle istituzioni. Lo Stato e le sue istituzioni hanno la funzione di «gestire» la società. Ma le persone non sono «oggetti da gestire». Sono soggetti che costantemente creano saperi, tradizioni e modi di vivere.
  2. Allora, che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo mediare i conflitti provocati dalle differenze culturali, o dobbiamo impegnarci a creare le condizioni per un dialogo dialogico1 fra persone/comunità di origini diverse, per arrivare a un atteggiamento di scoperta e di comprensione reciproca come modo di vivere in una società pluralistica?
  3. È possibile entrare in un contesto di collaborazione fra lo Stato e le sue istituzioni da un lato e gli spazi sociali di base dall’altro, senza che questi vengano assorbiti dal sistema dominante?
Il nostro dossier raccoglie i contributi di tre autori che affrontano da prospettive diverse la questione della mediazione interculturale.2 Nella sua qualità di psicologa clinica, Margalit Cohen-Emerique propone alcuni strumenti importanti per l’attuazione di ciò che chiama mediazione culturale o interculturale. étienne Le Roy prende le mosse dall’ambito della giustizia e del rapporto del sistema giudiziario francese con la popolazione immigrata, ma, basandosi su una lunga esperienza di ricerca antropologica in Africa in campo giuridico, allarga gli orizzonti della riflessione, andando al di là del problema della soluzione dei conflitti per delineare una prospettiva più ampia di «dialogo» fra il sistema giuridico e il sistema di regolazione sociale. Jordi Agustí-Panareda tratta della mediazione al di fuori delle istituzioni, cercando di inserirla nella realtà viva del pluralismo. Agustí-Panareda dà alla mediazione un senso trasformativo, basato sul principio del dialogo dialogico, andando al di là dell’obiettivo dell’integrazione degli immigrati. Questi tre articoli sono complementari e aprono diverse piste di riflessione. Ringraziamo gli autori per il loro valido contributo a una discussione che la nostra rivista aveva avviato una decina d’anni or sono.3
La discussione sulla mediazione interculturale deve continuare. Abbiamo formulato il titolo del nostro dossier in forma interrogativa perché riteniamo che, prima di presentare la mediazione interculturale come strumento di interazione sociale in un contesto culturalmente diverso dal nostro, dobbiamo riconoscere che in altre culture ci sono altri modi, diversi dalla «mediazione», per risolvere le controversie sociali e per mantenere la coesione e l’ordine all’interno della società. L’esplorazione di altre pratiche culturali di riconciliazione e di mantenimento dell’ordine sociale nelle diverse culture può offrirci una comprensione assai più chiara di molte questioni interculturali legate al nostro argomento, questioni che rimangono nascoste e che hanno bisogno di essere affrontate.

Note
1. Cfr. R. Panikkar, Mito, fede ed ermeneutica. Il triplice velo della realtà, Jaca Book, Milano 2000.
2. Nell’edizione italiana il dossier include un contributo di Donatella Ianelli, avvocato, che riflette sul rapporto fra Giustizia e interculturalità in Italia.
3. Cfr. R. Vachon, «Guswenta ou l’impératif interculturel», InterCulture (ediz. canadese), n. 129, 1995.