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In evidenza

 
Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
Riconciliazione e alternative non materialiste PDF Stampa E-mail
di Patrizia Picchietti

Le presentazioni della rivista Interculture sono occasione di incontro con personaggi significativi, che offrono ulteriori riflessioni e prospettive sui temi trattati. Di tali contributi l’associazione Interculture (in collaborazione con l’associazione Dialoghi) cerca di tenere traccia attraverso Quaderni di approfondimento, che possono essere richiesti direttamente all’associazione.
Qui vogliamo presentare una sintesi dell’incontro relativo al n. 8: «Cooperazione allo sviluppo: un cavallo di Troia?», realizzato nell’ambito della mostra-convegno Terra Futura (Firenze, maggio 2008). La presentazione, affidata a due relatori di particolare rilievo, ha messo a fuoco alcuni nuovi aspetti su come interpretare e vivere la cooperazione internazionale.
Massimo Toschi, Assessore della Regione Toscana per la cooperazione internazionale, espone il suo punto di vista partendo proprio dal titolo da lui voluto per il suo assessorato: «Cooperazione internazionale, perdono e riconciliazione dei popoli». Perché questo titolo? Perché, dice Toschi, il nostro tempo si potrebbe definire come «il tempo della guerra». La vera prospettiva, allora, è «costruire un metodo che da un lato sia capace di prevenire la guerra, e dall’altro punti alla riconciliazione dei contendenti». E qui il perdono diventa una parola chiave: «perdono come assunzione di responsabilità per il dolore che ognuno, con il proprio operato, può avere prodotto all’altro». Il primo assunto per la cooperazione internazionale sarà quindi di operare riconoscendo la responsabilità della nostra politica, che ha prodotto dolore, sofferenza e oppressione nei popoli, società o persone che intendiamo aiutare. Se questo avviene, il passo successivo sarà attuare una conversione della politica: cambiare i nostri orizzonti partendo proprio dall’operare insieme. Cooperare significa lavorare insieme e non lavorare gli uni contro gli altri. «Il futuro della cooperazione non è nella cooperazione allo sviluppo. Quella è morta». «Bisogna immaginare una cooperazione che non moltiplichi i conflitti, che non si schieri da una parte contro l’altra, e in tal modo costringa a cambiare i termini della riflessione». Ad esempio, ci vogliono «progetti che portino i palestinesi ad essere riconosciuti nei loro diritti, e gli israeliani ad essere compresi nella loro domanda di sicurezza, perché nessuna soluzione militare può passare in Medio Oriente».
Lavorare insieme per una cooperazione di riconciliazione è la strada che Massimo Toschi chiede di ripensare e percorrere insieme a lui e al suo piccolo assessorato, per il futuro della cooperazione.
Wolfgang Sachs è un pioniere tra i sostenitori della rivista. Sono circa vent’anni che segue con interesse le tematiche proposte dall’edizione canadese, che a sua volta ha pubblicato quasi vent’anni or sono il lungo articolo che ora viene presentato nel n. 8 dell’edizione italiana. Come osserva Arrigo Chieregatti, si tratta di un articolo di straordinaria attualità ancora oggi.
Sachs spiega il suo modo di guardare allo sviluppo non come un insieme di tecniche e strategie, ma come un modo di percepire la realtà, come una concezione del mondo.
Almeno due caratteristiche stanno alla base di questa percezione. Lo sviluppo, secondo Sachs, guarda il mondo seguendo una concezione di tempo e spazio che prevedono, rispettivamente, una visione lineare del tempo e un ordine gerarchico del mondo, dove la cultura occidentale è inevitabilmente il metro di paragone e le società occidentali sono il modello della società completa, matura, «sviluppata». Nella nozione stessa di sviluppo è implicito un discorso di egemonia culturale.
Sachs parte da un’analisi del colonialismo negli anni ’20 per poi passare a Truman come padre dell’idea di sviluppo, spiegando come tutto questo abbia condotto ad una civiltà la cui altezza si determina guardando al volume di produzione: una società materialista, monetarista e consumista. Sachs però avverte che questo modello di sviluppo e questa visione materialista del mondo sono arrivati ad un vicolo cieco. La crisi ambientale dice senza mezzi termini che questo modello è condannato al fallimento. È importante allora aprire gli occhi verso alternative che, dice Sachs, «credo abbiano qualcosa a che fare con la ricerca di una civiltà non materialista».
Ciò che differenzia la cultura moderna da tante culture non moderne del passato, o ancora oggi presenti in alcuni luoghi del mondo, forse va ricercato nel fatto che al centro delle culture non moderne sta il rapporto fra le persone, mentre al centro della cultura moderna sta il rapporto fra le persone e gli oggetti, le cose. «Se si accetta questa differenza, mi sembra che la ricerca portata avanti dalla rivista InterCulture acquisti un senso abbastanza chiaro: si tratta di credere nell’uomo come animale simbolico» e di sostenere il fiorire di una cultura non materialista, dove il centro dell’uomo non sia l’avere, ma l’immaginazione, il credere. Queste alternative le si può trovare nella storia di ieri e in quella di oggi in luoghi «altri», basta saperli vedere. La rivista in questo ci può aiutare.