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In evidenza

 
Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
Prefazione al n. 17 PDF Stampa E-mail

di Gilles Bibeau

Questo numero di InterCulture, dedicato alla comunitarietà, raccoglie i contributi di quattro autori che appartengono a regioni culturali diverse: Jean-François Lessard (Québec, Canada), Gustavo Esteva (Messico), Pramod Parajuli (Nepal-India) e Robert Vachon (Québec, Canada).
Due idee principali emergono da questi articoli. La prima, ribadita con forza dagli autori, è che l’individuo massificato delle società contemporanee non è altro che una caricatura del pensiero occidentale moderno in cui l’«io» si costituisce staccandosi dal «noi». È assai probabile che questa cultura dell’individuo non possa produrre che una giustapposizione di soggetti senza nessun radicamento nel «noi», realizzando la folle invenzione di un essere umano che porta fino all’eccesso l’attuazione del progetto dell’illuminismo.
Sembra infatti che le società contemporanee, soprattutto in Occidente, stiano vivendo una mutazione culturale di grandi dimensioni, sia per quanto riguarda la relazione dell’individuo con la società, sia per quanto riguarda la definizione dell’individuo nel suo rapporto con se stesso. Da un modello di società in cui l’individuo, per costruirsi e dare un senso alla propria esistenza, doveva inserirsi nel suo gruppo di appartenenza, se non addirittura sottomettersi alle esigenze morali del soggetto collettivo, siamo passati infatti a un altro modello di società, che i sociologi chiamano dell’«ego-identitario», in cui l’individuo deve affermare costantemente la propria autonomia, costituendosi come un «io» e rivendicando il proprio diritto all’auto-realizzazione. L’etica incentrata sull’individuo trionfa dovunque, sostituendosi alla dimensione politica. Quest’ultima viene decisamente negata come luogo del vivere con gli altri, oppure viene ridotta all’ambito dei diritti individuali. Ciò ha provocato un po’ dovunque l’uscita dal «noi» o addirittura la negazione della dimensione comunitaria, causando in tal modo una vera e propria de-socializzazione dei rapporti sociali.
Così la nostra società è diventata sempre meno solidale, sempre più massificata, intrappolata in un estremo individualismo, incentrata sullo spazio privato. Là dove c’erano delle «mediazioni», la super-modernità ha finito per introdurre dei «media», delle tecniche, imponendo agli individui un’esigenza di omogeneizzazione, di conformità ai modelli mediatizzati. Sotto le sembianze di una individualizzazione dei destini, ciò che in realtà si è verificato è una sottomissione ai valori neoliberali, che ha sostituito la condivisione comunitaria; sotto le sembianze dell’autonomia, si è imposta l’alienazione; in luogo di una società di uguali, ci sono le fotocopie di cittadini identici.
Più che del declino del soggetto sullo sfondo di una crisi collettiva di senso, i quattro articoli di questo numero parlano dell’identità individuale che torna a radicarsi in quella dei gruppi, attraverso la ricomposizione che gli individui realizzano a partire dai materiali messi a loro disposizione dai gruppi di appartenenza. Ciò che viene proposto in questo numero di InterCulture è un modello alternativo, che si contrappone nettamente all’utopia dell’«auto-realizzazione» di «io» individuali staccati dal «noi» e all’etica dominante dei diritti individuali.
La seconda idea emerge dalla presa di coscienza del fatto che le comunità umane si inscrivono in territori costituiti da ecosistemi spesso divenuti fragili e non fioriscono mai al di fuori dei loro legami con la natura. Pramod Parajuli ne trae la conclusione che gli esseri umani sono parenti prossimi delle piante e degli animali, e che questa parentela fondamentale con tutte le altre forme di vita fa degli esseri umani i giardinieri del mondo, i custodi della vita. Il futuro ci chiede di essere responsabili e di «prenderci cura» della precarietà di tutte le forme di vita e della fragilità della nostra stessa specie, flessibile e modellabile, ma anche distruttibile e forse effimera, se non facciamo attenzione.
L’uomo non può esercitare la sua responsabilità nei confronti della vita se non nella solidarietà con tutti gli esseri viventi, a cui è legato da vincoli di parentela molto più stretti di quanto forse non aveva mai immaginato in passato. Questa responsabilità include anche il rispetto della biodiversità così come la vediamo esprimersi nella molteplicità degli ecosistemi esistenti sulla faccia della terra. Questo numero di InterCulture invita l’uomo a «prendersi cura» della vita, aprendosi al riconoscimento della pluralità delle forme viventi e nello stesso tempo della diversità culturale del mondo umano, delle lingue, delle religioni, delle filosofie. Non basta infatti rispettare semplicemente la diversità degli esseri viventi e delle culture. Esercitando una responsabilità concepita come custodia, come «cura», bisogna anche fare in modo che possano far maturare i loro frutti.
Questo è l’invito che emerge dalle pagine che seguono.