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Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
Riflessioni introduttive PDF Stampa E-mail

di Robert Vachon e Christoph Eberhard*

La parola governance è ormai di moda in tutto il mondo... Molti autori le rimproverano di mancare di precisione scientifica. Tuttavia si può avere l’impressione che sia diventata il punto di riferimento per ripensare oggi le questioni legate alla riorganizzazione responsabile della nostra convivenza, a livello sia globale che locale. La governance ha, se non sostituito, per lo meno ampiamente intaccato la centralità delle nozioni di ‘Stato di diritto’ e di ‘diritti dell’uomo’ che ancora strutturavano la prassi fino agli anni ’90 (cfr. Eberhard, 2008). Assistiamo infatti a una ricomposizione degli scenari giuridico-politici contemporanei. E questa ricomposizione sembra dare uno spazio sempre maggiore a tutti gli attori sociali, che da semplici cittadini vengono ridefiniti come portatori di interessi, parti interessate o stakeholders dei progetti collettivi di società. Da rappresentativa, la democrazia diventerebbe partecipativa. La parola d’or­dine della governance è infatti ‘partecipazione’. In linea di principio, tutte le parti interessate dovrebbero elaborare insieme i loro progetti di società e mettere mano alla loro attuazione. Si esce dalla divisione del lavoro fra ‘governanti’ e ‘governati’ (inerente al modello classico di ‘governo’) e dalla sua organizzazione istituzionale piramidale, per andare verso forme di organizzazione più ‘a rete’, più interdipendenti, più ‘dialogali’. La governance non potrebbe essere allora una porta aperta verso dialoghi interculturali sulle diverse modalità di organizzazione della convivenza sociale [de la mise en forme du vivre ensemble]?
L’interrogativo era d’obbligo per una rivista come InterCulture. E subito sono emerse molte domande. Un numero sulla governance avrebbe dovuto concentrarsi sulle ‘modalità’ della nozione piramidale universale di governance? O sugli equivalenti omeomorfici1 della nozione di governance, cioè dell’organizzazione della convivenza sociale, nelle diverse culture del mondo? Molti dei testi ricevuti dopo un primo invito a inviare contributi sull’argomento erano per lo più orientati nella prima direzione. Non affrontavano veramente gli equivalenti omeomorfici della governance, del Diritto, delle modalità di organizzazione della convivenza sociale, o lo facevano soltanto a dosi omeopatiche. Esploravano piuttosto alcune modalità della governance, del Diritto, dell’organizza­zione della convivenza sociale nelle diverse culture, e sembrava che queste modalità venissero presentate come se fossero o addirittura dovessero essere le nozioni di base, universali e primarie, in tutte le culture. Ma questo è ben lungi dall’accadere in molte culture del mondo, anche se queste culture nella maggior parte dei casi non si oppongono necessariamente a tutto ciò che è occidentale (e quindi alle nozioni occidentali tradizionali e moderne di governance, di Diritto o di organizzazione della convivenza sociale) e oggi sono persino costrette (in virtù della globalizzazione, del sistema internazionale, del mercato, della configurazione dello Stato moderno, della natura del mondo) sia a prendere in considerazione quelle nozioni, sia a convertirsi ad esse o anche a metterle al posto delle proprie visioni, radicalmente diverse dalle nozioni occidentali di governance, di Diritto e di organizzazione della convivenza sociale, anche se funzionalmente simili.
«Le sfide dell’interculturalità alla governance». Questa formula ci mette di fronte a due possibili opzioni: si può orientarsi prevalentemente verso una teorizzazione interculturale in cui si metterà l’accento su un arricchimento del quadro cognitivo costituito dalla governance e dalla visione del mondo su cui è fondata (potremmo dire che si tratterebbe di vedere come il concetto di governance è elaborato da un’altra cultura), oppure si può intraprendere un approccio interculturale rivolto non solo ad aprire le nostre teorie, il nostro logos, ma a cambiare i nostri mythoi, gli orizzonti invisibili del nostro pensare e del nostro agire, ciò che crediamo senza credere di crederci, come dice Raimon Panikkar (cfr. Eberhard, 2001, 2010, 2011); si tratterebbe allora di lasciare che la luce delle altre culture illumini le nostre concezioni, e viceversa. I due approcci affondano le radici in una prassi dialogale e diatopica.2 Se consideriamo che noi tutti condividiamo un mondo, ma che di questo mondo fanno parte le diverse prospettive da cui si può guardarlo, che sono come altrettante finestre sul Reale, il primo approccio consiste nell’allargare l’apertura della propria finestra sforzandosi di tradurre nel proprio mondo ciò che si è percepito guardando attraverso un’altra finestra. Il secondo consiste nell’inter­ro­gar­si più particolarmente su ciò che avviene tra le finestre, nell’incontro fra visioni del mondo che non condividono necessariamente lo stesso quadro o lo stesso orizzonte di intelligibilità ultima (cfr. Eberhard, 2001).
La riflessione che presentiamo in questo numero di InterCulture sulla questione della governance nel contesto del pluralismo culturale del mondo contemporaneo si ispira alla filosofia e alla metodologia del dialogo di Raimon Panikkar.
Robert Vachon e Christoph Eberhard si aprono a questo orizzonte interculturale e suggeriscono la necessità di intraprendere un dialogo interculturale sulla governance.
Akuavi Adonon esamina nel suo articolo la questione della governance nel contesto delle complesse dinamiche sociali in atto nel Messico di oggi, soffermandosi in particolare sulle relazioni fra lo Stato messicano e le popolazioni indigene.
Étienne Le Roy affronta principalmente la situazione post-coloniale di vari paesi africani dopo l’indipendenza, una situazione che è caratterizzata da un divario fra le istituzioni ereditate dalla colonizzazione e le attese dei cittadini. La governance permetterà di ripensare questa spiacevole situazione?
Osare il pluriverso (cfr. Eberhard, 2011), dove la piramide della governance e il cerchio dell’ascolto contemplativo delle voci plurali si possono incontrare: ecco la meditazione che questo numero di InterCulture propone ai suoi lettori per approfondire il dialogo interculturale sulla governance.
Buona lettura e buone scoperte!

Riferimenti bibliografici

  • Eberhard Ch., «Towards an Intercultural Legal Theory - The Dia­lo­gi­cal Challenge», in Social & Legal Studies. An International Journal, n. 10 (2), 2001, pp. 171- 201.
  • Eberhard Ch., Droits de l’homme et dialogue interculturel, Éditions des Écrivains, Paris 2002a (2a edizione riveduta e ampliata: Éditions Connaissances et Savoirs, Paris 2011).
  • Eberhard Ch. (a cura di), Traduire nos responsabilités planétaires. Recomposer nos paysages juridiques, Bruylant, Bruxelles 2008.
  • Eberhard Ch., Le Droit au miroir des cultures. Pour une autre mondialisation, LGDJ / Lextenso, Col. Droit et Société Classics, Paris 2010.
  • Eberhard Ch., Oser le plurivers. Pour une globalisation interculturelle et responsable, LGDJ/Lextenso, Paris 2011.
  • Panikkar R., Il dialogo intrareligioso, Cittadella Editrice, Assisi 2001 (originale: The Intrareligious Dialogue, Paulist Press, New York 1978).
  • Vachon R., «Les fondements interculturels de la paix: Pour un langage commun. Un horizon commun. Une nouvelle méthode» / «Intercul­tural foudations of Peace: Towards a common language. A common ho­rizon. A new method», InterCulture (ediz. canadese), nn. 127-128-129, 1995.

 


* Pubblicato in InterCulture, ediz. canadese, n. 158 on-line (www.iim.qc.ca). Nostra traduzione.


1. «La nozione di omeomorfismo non implica un puro e semplice confronto dei concetti di una tradizione con i concetti di un’altra. Voglio suggerire questa nozione come correlazione tra due punti di vista di due sistemi differenti in modo che un dato aspetto in un sistema corrisponda a un aspetto dell’altro sistema. Il metodo non implica che un sistema sia migliore (logicamente, moralmente, ecc.) dell’altro, né che i due aspetti siano intercambiabili. Non si può trapiantare sic et simpliciter un elemento di un sistema in un altro sistema. Il metodo si limita a scoprire le correlazioni omeomorfiche.

Bisogna parimenti precisare che un omeomorfismo non è identico a una analogia, benché siano legati l’uno all’altra. L’omeomorfismo non significa che le due nozioni sono analoghe, cioè in parte simili e in parte differenti, perché questo implicherebbe che ambedue partecipano a un tertium quid che serve di base all’analogia. L’omeomorfismo significa piuttosto che le nozioni giocano ruoli equivalenti, assolvono equivalenti funzioni all’interno dei rispettivi sistemi. L’o­meo­morfismo è probabilmente una sorta di analogia funzionale-esistenziale.
Un esempio permetterà di chiarire il mio pensiero. È certamente falso, per esempio, considerare equivalenti il concetto di Brahman delle Upanishad con la nozione biblica di Jahvè. Ma non è più soddisfacente dire che questi concetti non hanno tra loro nulla di comune. In realtà, il contesto e i contenuti dei due concetti sono totalmente differenti; non sono reciprocamente traducibili, non più di quanto essi abbiano tra loro un rapporto diretto. Ma sono omeomorfici, nel senso che hanno un ruolo simile, sia pure in contesti culturali differenti. Tutti e due si riferiscono a un valore superiore e a un termine assoluto» (Panikkar, 2001, pp. 105-106). «Non discutiamo di sistemi ma di realtà, e della maniera in cui queste realtà si manifestano da se stesse, in modo tale che esse rivestano un significato anche per il nostro interlocutore» (Panikkar, 2001, p. 110).
Per un approfondimento si vedano i tre numeri che InterCulture (edizione canadese) ha dedicato all’«imperativo interculturale» e ai «fondamenti interculturali della pace» (Vachon, 1995): «Alla ricerca di un linguaggio comune»; «Accettare il nuovo mito emergente del pluralismo della Realtà»; «Un nuovo metodo: il dialogo dialogale; la coscienza mitico-simbolica; la mediazione interculturale; al di là del quadro della cultura politica della modernità».

2. Dia-logale: che va oltre il logos; dia-topica: fra topoi (luoghi) diversi.