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Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
Riflessioni sulla governance PDF Stampa E-mail

di Matteo Pozzi e Patrizia Picchetti

Il 15 giugno 2012 alla Casa per la Pace «la Filanda», a Casalecchio di Reno, si è tenuto un incontro per presentare e approfondire il numero 20 della rivista InterCulture.
Il tema della rivista («Governance, bene comune e interculturalità») è stato introdotto da Arrigo Chieregatti, direttore della rivista, con alcune domande: nella nostra società, come viene usata la governance? Come viene proposta l’autorità nell’ambito dei beni comuni e dei beni privati, nella famiglia, nella scuola o nel lavoro? Se poniamo le stesse domande ad altre culture, siamo così sicuri che le risposte coincidano?
Prima di tutto però, secondo Chieregatti, bisognerebbe chiarire il significato di governance: a suo avviso non deve essere un autoritarismo che viene dall’alto e condiziona tutti, dando l’impressione che non ci siano alternative. Si tratta invece di ripensare la responsabilità che tutti abbiamo nei confronti di ciò che ci è stato consegnato come popolo, come società, come comunità. Non più una relazione gerarchica tra governanti e governati, ma una comune responsabilità, un mettersi in rete nella gestione del lavoro così come in quella dei beni comuni. Questo sembra essere ciò che viene proposto dagli articoli della rivista anche attraverso la testimonianza di altre culture, dove si riscontrano modi diversi di gestire se stessi e gli altri e dove emerge una concezione diversa dell’autorità e della relazione.
Cedendo la parola a Matteo Pozzi, Chieregatti ha esortato gli intervenuti a domandarsi se è possibile prendere in considerazione le sfide che l’interculturalità pone al nostro modo di comandare o di governare, abbandonando la convinzione che la nostra visione occidentale si possa estendere a tutte le culture e liberandosi in tal modo da un colonialismo culturale che impedisce la vera conoscenza dell’altro.
Successivamente Matteo Pozzi, membro della redazione, ha preso spunto da alcuni articoli apparsi sulla rivista per approfondire la complessità e, per certi versi, l’ambivalenza dell’attuale dibattito sulla governance e sul bene comune in Italia. Infatti il tema, magari non esplicitamente, è di grandissima attualità nel contesto odierno di crisi, più ancora che economica, del concetto stesso dello Stato e della sua amministrazione.
Se il termine governance viene spesso opposto a quello di governo, parliamo di un modello di gestione verticista (il governo), in cui pochi soggetti dirigono tutta la comunità (la parola stessa ‘governo’ viene dal latino gubernare che significa letteralmente ‘reggere il timone’, cosa che viene sempre fatta da uno per conto di tutti), che si confronta con un modello alternativo (la governance) in cui l’assunzione delle decisioni tiene conto e promuove la partecipazione di tutti i cosiddetti ‘portatori di interesse’ (stakeholder), grazie a meccanismi di ascolto e consultazione sicuramente fondamentali in un contesto di democrazia partecipata.
Bisogna tuttavia considerare come l’allargamento dell’applicazione della governance abbia via via eroso il potere delle istituzioni dello Stato-nazione (a proposito delle quali non bisogna guardare lontano per parlare di vera e propria crisi di identità) a favore di stakeholder forti (lobbies, finanza, istituzioni sovranazionali, ecc…), con il risultato che molte delle decisioni che contano si sono spostate da organi elettivi a soggetti diversi apparentemente incontrollabili dalla comunità di base (per non parlare del fatto che i ruoli chiave delle istituzioni sono stati occupati da ‘tecnici’ espressi dalle stesse parti), con interrogativi legittimi sul significato assunto dalla parola democrazia.
La governance è quindi solo un altro modo per articolare la distribuzione del potere? Forse, ma sicuramente sono innumerevoli i casi in cui questo ha risvolti e applicazioni estremamente positive, come riportato anche dalla rivista mostrando esempi di risoluzione delle dispute sulla base della saggezza tradizionale in Centro America o modelli alternativi a quelli coloniali in Africa.
È altrettanto paradigmatica la testimonianza portata da Matteo sulla governance presso i Mohawk (una delle nazioni autoctone Irochesi, che vive tra il Canada e lo Stato del New York negli USA), in cui nell’organo di governo (la Longhouse) le decisioni vengono discusse secondo precisi protocolli che permettono a tutti di prendere la parola e si giunge ad una decisione esclusivamente all’unanimità (!). All’incredulità espressa da noi occidentali sulla reale possibilità di ottenere questo risultato, la risposta è stata: «Non è difficile se ci si rifà ai ‘valori universali’, quelli stessi che vengono ricordati all’inizio di ogni riunione attraverso il rituale delle ‘parole che vengono prima di tutte le parole’, in cui un soggetto, a nome di tutti, ringrazia i presenti, le loro famiglie, gli antenati, la natura, e così via fino agli elementi e al Creatore, come a coinvolgere nella discussione tutte (ma veramente tutte) le dimensioni del reale sulle quali ci si appresta a decidere…». Che spunto di riflessione!
L’intervento si è chiuso approfondendo l’articolo di Stefano Zamagni «Alla ricerca del bene comune», in cui nella prospettiva di un economista il tema dei commons viene preso in esame con grande rigore, fino a proporre l’idea di una ‘impresa sociale’, ancora assente nel nostro Codice Civile, ancorché sia proposta addirittura nella Costituzione Italiana.
A valle dell’intervento i partecipanti all’incontro si sono divisi in due gruppi per mettere a confronto cultura occidentale e asiatica su alcuni temi ‘chiave’ e per riflettere, alla luce di queste differenze, su quale sia il significato di ‘prendere una decisione’ che vada bene a tutti.