La «terra di nessuno» dell'interculturalità |
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di Robert Vachon La rivista Interculture, dal suo esordio nel 1968 con il nome di Revue Monchanin, ha sempre voluto essere il riflesso del pensiero e dell’azione dell’Istituto Interculturale di Montréal (IIM). Nel 1968 la rivista era un semplice bollettino di notizie delle attività del Centro; in seguito si è trasformata gradualmente in strumento del pensiero e della visione interculturale di quest’ultimo. L’IIM è stato fondato nel 1963 con il nome di Centro Monchanin. Nel 1990 ha adottato il nome attuale, che meglio rispecchia lo spirito dei suoi obiettivi e della sua azione. L’Istituto Interculturale di Montréal oggi si definisce come un ‘istituto di ricerca-azione’. A quarant’anni dalla fondazione dell’IIM, ci sembra appropriato offrire ai lettori una sintesi del nostro cammino e degli orientamenti che animano la nostra attività. Ascoltare il pluralismo della Realtà L’Istituto Interculturale di Montréal ha iniziato la sua attività come punto di incontro e di amicizia tra persone di diverse lingue, religioni e culture. Svolgeva inoltre un lavoro di informazione sulle religioni e sulle culture, ma sulla base di testimonianze personali e privilegiando un ascolto contemplativo, con un approccio complementare a quello accademico. Si è poi gradualmente sviluppato in un centro che si dedica all’apprendimento dall’interno delle diverse forme di saggezza delle varie religioni e culture, evitando che qualcuna di esse predomini sulle altre, e infine si è trasformato in un gruppo di ricerca-azione di alternative interculturali, che non consistono in primo luogo nella gestione dei problemi della diversità, ma piuttosto nello sforzo di mettersi in sintonia con il pluralismo della Realtà. Per l’Istituto, l’interculturalità non è innanzitutto un problema da gestire, ma un mistero da scoprire e da vivere il più pienamente possibile. L’interculturalità non è dunque il multiculturalismo o l’integrazione degli immigrati o delle diverse culture in una qualche religione o cultura universale, antica o nuova (sviluppo, modernità, democrazia radicale, visione autoctona, cinese o altra), ma consiste nell’impregnarsi il più possibile del pluralismo della Realtà e nel viverne il più pienamente possibile. Questo interculturalismo non confonde il mistero del pluralismo con il problema della pluralità, e neppure riduce il primo al secondo. Questo è ciò che l’Istituto cerca di esprimere quando si definisce come un gruppo di ‘ricerca-azione di alternative interculturali’. Il nostro Istituto non è sorto per mandato di un governo o di un’istituzione religiosa, ma è piuttosto il risultato di una chiamata, di una vocazione che scaturisce quotidianamente dall’inevitabile pluralismo dell’intera Realtà, di cui nessuno può possedere la definizione ultima. L’interculturalità, per noi, continua ad essere quella ‘terra di nessuno’ di cui tutti possiamo usufruire purché non pretendiamo di possederla. Si tratta piuttosto di essere posseduti da questa realtà, che ha un nome al di sopra di ogni nome e non è proprietà di nessuno. Non si tratta dunque di una dottrina, di una teoria o di una filosofia, ma di un atteggiamento esistenziale che consiste nell’essere all’ascolto del pluralismo della Realtà. Questo atteggiamento esistenziale è ciò che deve essere innanzitutto e soprattutto ricercato, incoraggiato e richiesto agli animatori e agli insegnanti dell’IIM. Non può essere imposto né insegnato per mezzo di pure e semplici definizioni, ma deve essere comunicato attraverso la testimonianza e il dialogo dialogico fra le nostre rispettive vite quotidiane. Non è il risultato di crediti e di diplomi accademici, né di un’autonoma opzione individuale o collettiva. Questo faticoso lavoro di ‘ricerca-azione di alternative interculturali’ non è dunque un ‘mestiere’: non è qualcosa che si fa innanzitutto per un salario o per costruirsi una carriera professionale all’interno del sistema. Kalpana Das, shakti dell’IIM Dopo questa breve presentazione dell’Istituto e delle sue realizzazioni negli ultimi quarant’anni, non posso non rendere omaggio a Kalpana Das, da venticinque anni direttrice generale, anima, cuore e shakti dell’IIM. Permettetemi questo termine, che utilizzo come doveroso riconoscimento interculturale: shakti è una parola chiave della tradizione spirituale indù bengalese da cui viene Kalpana, e indica «la Presenza, o la Forza silenziosa dell’anima, o colei che si prende cura di tutto e mantiene unite tutte le cose», una parola che in India viene tradotta semplicemente con Ma (la Madre divina) e viene applicata spesso alle madri e alle donne che agiscono come tali. Soltanto a partire da una presa di coscienza della natura radicalmente alternativa dell’interculturalismo dell’IIM si possono apprezzare veramente i venticinque anni di straordinarie realizzazioni attuate da Kalpana Das come direttrice generale e direttrice del personale e della formazione. Qui basterà ricordare innanzitutto e soprattutto i programmi e i corsi di formazione interculturale che ha tenuto personalmente per gli operatori dei servizi sociali e scolastici, le iniziative di rigenerazione interculturale della dimensione comunitaria, il grande congresso internazionale che ha organizzato nel 1992 a Mont Orford nel Quebec, nel corso del quale ha costituito la rete internazionale INCAD (International Network for Cultural Alternatives to Development) che dirige tuttora, e il cui manifesto è stato preso come base per la fondazione in Europa di una nuova rete chiamata ROCADE (Reseau des Objecteurs de Croissance pour l’Après-Développement). Ricordiamo anche la creazione della banca dati Racines sui saperi autoctoni nel mondo e il suo tentativo di dare vita al progetto IGRA (International Grass-roots Alliance). Nel 1993 organizza un grande convegno su «Bilancio e prospettive dell’interculturalismo nel Quebec», e dal 1993 al 2001 realizza una ricerca-azione nell’ambito del progetto Erasmo sulle comunità haitiana e indù e sulle bande giovanili afro-caraibiche. Nel 2002 organizza e dirige a Montréal un progetto di ricerca in collaborazione con alcuni organismi culturali su «Le condizioni di vita e di salute mentale degli anziani delle comunità etno-culturali di Montréal» (Les conditions de vie et de santé mentale des aînés des communautés ethno-culturelles), a cui fa seguito un progetto su «L’interculturalità nell’azione comunitaria. Interculturalità, rapporti inter-comunitari e partecipazione civica» (L’interculturalité dans l’action communautaire. Projet interculturalité, relations inter-communautaires et participation civique). Ricordiamo anche il grande convegno internazionale da lei organizzato e diretto nel 2000 a Bangalore, in India, sui saperi autoctoni, e la sua successiva partecipazione come relatrice al grande convegno realizzato a Parigi nel 2001 su «Disfare lo sviluppo, rifare il mondo» (Défaire le développement, refaire le monde) e al convegno «America Profunda» tenuto in Messico nel 2003. Ricordiamo infine la sua partecipazione al congresso internazionale tenuto a Barcellona nel 2004 su «Movimenti umani e immigrazione» (Human Movements and Immigration World Congress), dove ha tenuto una relazione su «L’immigrazione negli Stati plurinazionali» (L’immigration dans les Etats pluri-nationaux). Con questo ho lasciato soltanto intravedere una parte delle sue realizzazioni. Ma ciò che è ancora più importante è la sua capacità di prendersi cura di ciascun membro del gruppo in modo molto attento, rispettoso e discreto, permettendo a ciascuno di manifestarsi nella propria diversità; si tratta di un approccio pressoché sconosciuto in Occidente, ma tipico della cultura indù che si fonda sui valori delle relazioni familiari e di parentela. |