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In evidenza

 
Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
La «Rete degli obiettori di crescita per il dopo-sviluppo» PDF Stampa E-mail

di Robert Vachon

Serge Latouche1 , in un articolo pubblicato da L’écologiste2,  spiega come è nato in Europa il Rocade (Réseau des objecteur de croissance pour l’après-développement). In seguito al grande successo del colloquio internazionale organizzato nel 2002, presso la sede dell’Unesco a Parigi, dall’associazione La ligne d’HorizonLes Amis de François Partant in collaborazione con Le Monde Diplomatique, sul tema «Disfare lo sviluppo, rifare il mondo», gli organizzatori e i partecipanti hanno deciso di costituire questa Rete, che si inscrive nell’orbita del Riac(d) dell’Istituto Interculturale di Montréal. Il Rocade si riconosce pienamente nella «Dichiarazione del 4 maggio 1992», il manifesto programmatico sottoscritto da tutti i membri del Riac(d) nel corso del convegno internazionale di Orford (Quebec, Canada).
Nel suo articolo, Latouche riassume gli obiettivi principali del Riac(d) in quattro punti:

  • Ideare e promuovere resistenza e dissidenza nei confronti della società della crescita e dello sviluppo economico.
  • Lavorare al rafforzamento della coerenza teorica e pratica delle iniziative alternative.
  • Promuovere la formazione di vere società autonome e conviviali.
  • Lottare per la decolonizzazione dell’immaginario economicistico dominante.
Gli atti del convegno di Parigi sono stati pubblicati in un volume intitolato Défaire le développement, refaire le monde3. In un libro di recente pubblicazione4, Serge Latouche riprende alcuni passi della dichiarazione del Riac(d) relativi alla «fine dello sviluppo» e al «lavoro di rigenerazione»; li riportiamo qui di seguito.
«Sotto il nome di sviluppo, la natura e le comunità umane subiscono la deturpazione, la rovina e la morte. (…) Oggi la posta in gioco non è né una gestione della crisi, né una riforma, né una restaurazione delle culture e della natura che sono state guastate, e neppure una semplice ripresa. (…) Abbiamo bisogno di un cambiamento che porti con sé un profondo risveglio per mezzo di un disarmo culturale e di una fine dell’era dello sviluppo. Inoltre dobbiamo impegnarci a compiere passi concreti verso una rigenerazione della natura e delle culture. (…)»
«Sollecitiamo di conseguenza la fine dello sviluppo; invitiamo i popoli del mondo ad avviare il lavoro di ricostruzione, ri-armonizzazione, rigenerazione, dopo il passaggio della tempesta. Questo può significare la formazione di comunità che sappiano combinare con fantasia creativa alcuni elementi della modernità con le sopravvivenze della tradizione. Crediamo che sia venuto il momento di riconoscere il radicale pluralismo del nostro mondo. Dobbiamo impegnarci  in un ampio processo di rigenerazione culturale, con il presupposto che non possono esserci criteri universali per farlo. (…)»
«A titolo di esempio possiamo identificare i seguenti obiettivi come primi passi necessari:
  1. Cancellare progressivamente (a un ritmo del 20% all’anno) tutti i debiti contratti dai paesi del Sud per progetti di sviluppo.
  2. Ridurre il Prodotto Nazionale Lordo pro capite nei paesi del Nord al livello del 1960.
  3. Bloccare con mezzi adeguati l’utilizzo illimitato di petrolio.
  4. Ridurre l’utilizzo di elettricità a un ritmo che permetta di annullare tutti i progetti di centrali nucleari entro dieci anni.
  5. De-costruire il modello educativo globale che incoraggia e sostiene gli stati-nazione e il loro sviluppo: rimettere in vigore i sistemi educativi praticati dalle comunità locali in armonia con il loro ambiente culturale e naturale, sostenendo in tal modo il buon livello di vita di quelle comunità.
  6. Avviare una massiccia campagna di programmi di «ri-educazione» per le élites socio-professionali del Nord come del Sud del mondo sulla perversità dello sviluppo; si tratterà di lavorare sulle seguenti tematiche:
    • - lo sviluppo come fattore di impoverimento e le modalità dell’impoverimento della maggior parte del mondo;
    • - il sacrificio delle energie naturalmente rinnovabili sull’altare della crescita economica;
    • - l’asservimento delle élites socio-professionali al Prodotto Nazionale Lordo degli stati-nazione, cosa che le rende incapaci di comprendere l’importanza di un lavoro di rigenerazione creativa delle comunità locali.
  7. Trasformare tutto l’aiuto e le agenzie di sviluppo in cooperative locali decentrate, impegnate nel riconoscimento e nella rigenerazione del sapere, dei modi di vita e delle conoscenze tecniche delle diverse culture/popoli del mondo, e nell’attuazione di un dialogo interculturale sul dopo-sviluppo e sui movimenti di base nel Nord e nel Sud del mondo. Ri-orientare tutti i finanziamenti in questa direzione.»

«Firmatari: Kalpana Das (Canada – India), Gustavo Esteva (Messico), Serge Latouche (Francia), Douglas Lummis (Giappone – Stati Uniti), Frédérique A. Marglin (Stati Uniti), Marie MacDonald (Stati Uniti), Ashis Nandi (India), Emmanuel N’Dione (Senegal), Raimon Panikkar (Catalogna – Spagna – India), Sidney Pobihuschy (Canada), Majid Rahnema (Francia – Iran), Wolfgang Sachs (Germania), Édith Sizoo (Olanda – Belgio), Vandana Shiva (India), Robert Vachon (Canada), Shiv Visvanathan (India), Hassan Zaoual (Francia – Marocco).»

Serie di opuscoli sui saperi “dissidenti”

di Robert Vachon
Vinay Lal5, fondatore e redattore di una serie di opuscoli pubblicati in inglese a partire dal 2004 da Multiversity and Citizens International6, spiega nella sua prefazione lo scopo dell’iniziativa:
«Questa serie di opuscoli si fonda sulla duplice presa di coscienza che il compito più urgente, oggi, è quello di comprendere le conseguenze politiche ed epistemologiche del predominio dell’Occidente sul mondo intero e nello stesso tempo di lavorare in una miriade di modi alla decolonizzazione delle discipline accademiche. (…) È imperativo riconoscere che i colonizzatori hanno cercato dovunque di imporre la loro visione del mondo ai colonizzati. (…) La “conquista della conoscenza” ha avuto un impatto ancora maggiore di quello del regime coloniale stesso: in condizioni di globalizzazione, i sistemi di conoscenza occidentali hanno cercato (in larga parte con successo) di ottenere un dominio completo a livello mondiale in quasi tutte le sfere della vita. (…) Ma in tutta la voluminosa letteratura di questi ultimi anni sulla globalizzazione raramente si riconosce che ciò che è stato globalizzato con grande efficacia sono proprio i sistemi di conoscenza dell’Occidente. (…) Se la libertà è indivisibile, è importante riconoscere non solo che il Sud deve liberarsi da quel cappio al collo che va sotto il nome di “Occidente”, ma anche che i paesi cosiddetti sviluppati devono essere liberati da se stessi. (…) Questa serie di opuscoli è una delle varie iniziative che sono state avviate (…) per creare un nuovo forum a cui è stato dato il nome di “Multiversità”. (…) Non può esserci dialogo interculturale o autentico scambio di idee finché i termini della conversazione sono stabiliti esclusivamente dall’Occidente. È necessario aggiungere che il “multi” che compone la parola “multiversità” deve essere distinto dal “multi” di “multiculturalismo”. Dopo una spietata omogeneizzazione interna, gli Stati Uniti (leader dell’Occidente) hanno dovuto abbracciare il “multiculturalismo” e lo spacciano accanitamente in tutto il mondo come segno della loro apertura e della loro tolleranza. Il multiculturalismo di tipo americano, che è sinonimo di consumismo e di dominio dei bianchi (a volte presentato nella forma relativamente più “benigna” del primus inter pares), viene oggi ironicamente proposto come modello per società che sono sempre state fondamentalmente plurali. La “multiversità” intende opporre resistenza a queste forme insidiose di rinascente colonialismo e creare le condizioni che permettano ai saperi “dissidenti” di fiorire. Questa serie di opuscoli è un passo in tale direzione».
I primi opuscoli pubblicati sono:
- Esteva G. Celebration of Zapatismo.
- Apffel-Marglin F. e Bruchac M. Exorcising Anthropology’s Demons.
- Nandy A. The Twentieth Century: The Ambivalent Homecoming of Homo Psychologicus.
- Lal V. Empire and the Dream-work of America.
- Raya R. The Tyranny of Economics: Global Governance and the Dismal Science.

Note
1. Economista, professore emerito dell’Università di Parigi XI, presidente dell’associazione La Ligne d’Horizon – Les Amis de François Partant e membro del  Riac(d) dal 1992.
2. Vol. 4, n. 1, 2003.
3. éditions L’Aventure, Paris 2003. Trad. it. Disfare lo sviluppo per rifare il mondo, Jaca Book, Milano 2005.
4. Survivre au développement, Unesco, Paris 2004. Si veda anche, in italiano: Latouche S. Decolonizzare l’immaginario, libro intervista a cura di Roberto Bosio, EMI, Bologna 2004.
5. Docente all’Università della California a Los Angeles e membro del Riac(d).
6. Multiversity and Citizens International, 22 Taylor Road, 11600 Pesang, Malaysia, www.multiworld.org. Si veda anche: Lal V. Empire of Knowledge, Pluto Press, London 2002.