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In evidenza

 
Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
Notizie dai collaboratori internazionali dell'IIM (dal n. 6) PDF Stampa E-mail
di Robert Vachon

1. Gustavo Esteva (Messico)
Gustavo Esteva ha avviato recentemente un progetto di Enciclopedia Interculturale. Si tratterà di un’esplorazione sistematica «con l’obiettivo di identificare, dice Esteva, un’espressione interculturale per alcune funzioni sociali fondamentali, che potrebbe permettere la coesistenza armoniosa delle diverse concezioni culturali e definire i termini di un atteggiamento pluralistico radicale nei confronti di quelle funzioni».
Kalpana Das e Robert Vachon sono stati invitati, insieme ad altri, a far parte di un comitato interculturale internazionale «per identificare e pensare i temi e suggerire i nomi dei possibili coordinatori ed esperti a cui affidare la realizzazione dell’Enciclopedia».
Il primo volume, che verterà sulla nozione di Pace nelle diverse culture e tradizioni di saggezza del mondo, sarà coordinato da Wolfgang Dietrich, direttore dei corsi di specializzazione sulla Pace presso l’Università di Innsbruck (Austria). Nella presentazione del progetto relativo al volume sulla Pace, Dietrich cita un’affermazione di Panikkar: «Senza interculturalità, la pace non è che un’utopia».
Gustavo Esteva è membro del Riacd (Réseau International pour les alternatives culturelles au développement), la Rete internazionale creata dall’IIM per la ricerca e la promozione di alternative culturali allo sviluppo, ed è rettore dell’Università della Terra di Oaxaca (Messico). Esteva è anche membro del comitato scientifico della rivista InterCulture (edizione canadese).

2. Raimon Panikkar (Catalogna)
Membro onorario del Riacd e del comitato scientifico della rivista InterCulture (edizione canadese e italiana), Raimon Panikkar ha recentemente pubblicato diversi libri in italiano:

2.1 La porta stretta della conoscenza (Rizzoli, Milano 2005)
Da quasi mezzo millennio, e in particolare nell’ultimo secolo, la cultura occidentale ha invaso lentamente, e non sempre pacificamente, l’ambito delle altre culture del pianeta, elevando la scienza e la tecnologia al rango di criteri ultimi della verità. Tutto ciò che non è misurabile secondo i parametri della scienza è stato relegato ai margini o semplicemente negato. Ma in questo modo l’uomo si esclude dalla comprensione di una parte importante della realtà, e forse persino direttamente della sua essenza. Nessuna conoscenza particolare, infatti, è indipendente da una visione più o meno esplicita della totalità, e la conoscenza del «tutto» non è il risultato della somma delle conoscenze particolari. Vi si accede soltanto attraverso la porta della saggezza, che si è aperta all’umanità a partire dalla comparsa dell’homo sapiens. Questa porta ha tre chiavi: con i sensi si «tocca» un aspetto del reale, con la ragione si scopre quello che ci circonda, con la fede si prende coscienza di qualcosa di «più». Soltanto integrando queste tre dimensioni è possibile conoscere il rapporto armonioso, continuo e ininterrotto che intercorre fra l’uomo, il mondo e l’infinito. La porta tuttavia è stretta, perché la conoscenza richiede una purezza di cuore che non è facile raggiungere: è l’esperienza piena della vita, l’esperienza mistica (che è un dono offerto a tutti). Prendendo le mosse dal vecchio conflitto fra scienza e fede, Panikkar ci esorta a liberarci da ogni dogmatismo sia della ragione che della fede, in modo che il metodo scientifico e le tradizioni religiose diano vita a una nuova simbiosi del pensiero, nella consapevolezza che nessuna cultura, religione o tradizione può arrogarsi il diritto di rappresentare l’intera gamma dell’esperienza umana. Gettando uno sguardo sulle drammatiche sfide del nuovo millennio, Panikkar afferma la necessità di un dialogo interculturale che consenta una coesistenza pacifica fra le diverse civiltà. «La porta della conoscenza, ci ricorda il grande filosofo, è stretta, non sbarrata, ma la dobbiamo aprire insieme».

2.2 L’esperienza della vita: la mistica (Jaca Book, Milano 2005)
Questo studio aspira a reintegrare la mistica (considerata per lungo tempo un fenomeno particolare più o meno straordinario, per non dire patologico, paranormale o soprannaturale) nell’essere stesso dell’uomo, spirito mistico tanto quanto animale razionale ed essere corporale. La mistica non è una specializzazione di pochi prescelti, ma una dimensione antropologica, un qualcosa che appartiene all’essere umano in quanto tale. È l’esperienza integrale della Vita, al contempo corporale, intellettuale e spirituale, o si potrebbe anche dire l’esperienza della Realtà che è materiale, umana e divina, cioè cosmoteandrica. L’impostazione del libro è decisamente interculturale e pluralistica. La terza parte del libro comprende vari linguaggi (indù, buddista, cristiano e secolare), forme diverse che alludono a un’esperienza definita ineffabile da tutti i mistici, ma che può essere comunicata a chi si accinge ad accogliere con amore lo sforzo generoso di chi desidera farcene partecipi.
Questo libro fa seguito a La realtà cosmoteandrica. Dio-uomo-mondo (Jaca Book, Milano 2004, pp. 270, di cui abbiamo parlato nel n. 4 di InterCulture, ediz. italiana), e al saggio a cui è dedicato il paragrafo seguente.

2.3 Pace e interculturalità. Una riflessione filosofica (Jaca Book, Milano 2002)
La pace dell’umanità dipende dalla pace tra le culture. Questo libro vuole offrire un contributo per affrontare il problema. L’interculturalità rimette in discussione i miti prevalenti dello status quo attuale, ma per condurci a una relatività liberatrice. L’umanità si trova oggi di fronte a un bivio di dimensioni storiche. Questa è la vera sfida della cosiddetta globalizzazione: o la civiltà tecno-scientifica è superiore a ogni altra cultura e quindi è chiamata a imporsi, o ci sono anche altre culture che consentono ugualmente all’uomo di raggiungere la sua pienezza e la sua felicità.

3. Scott Eastham (Nuova Zelanda)
Membro del Riacd fin dagli inizi, Senior Lecturer alla School of English & Media Studies della Massey University (Palmerston North, Nuova Zelanda) e per molti anni redattore della rivista InterCulture (ediz. canadese), Scott Eastham ha ricevuto il prestigioso premio Lewis Mumford per il suo saggio World Visions in Collision: the Challenge of Genetic Engineering, pubblicato da InterCulture nel 2003 in inglese e in francese (edizione canadese, n. 145) e nel 2005 in italiano (edizione italiana, n. 2: Visioni del mondo in collisione. La sfida dell’ingegneria genetica).

4. Ashis Nandy (India)
Ex-direttore del Centre for the Study of Developing Societes, rinomato analista sociale e scrittore, membro del Riacd e del comitato scientifico internazionale di InterCulture (edizione canadese), Ashis Nandy ha recentemente organizzato e diretto, in collaborazione con l’Indic Studies Network e con Manushi (una rivista che si occupa di «donne e cultura»), la seconda conferenza internazionale su Religioni e culture nella civiltà indiana. La conferenza (a cui ha partecipato Kalpana Das) ha avuto luogo a Nuova Delhi dal 17 al 20 dicembre 2005. Il discorso di apertura, sul tema «Identità e pluralismo religioso», è stato tenuto da Raimon Panikkar.
Madhu Purnima Kishwar, uno degli organizzatori della conferenza, l’ha presentata nei seguenti termini:
«L’universo indiano ha generato quattro grandi religioni mondiali e un’ampia varietà di scuole di pensiero metafisico e di pratica religiosa, ed è stato teatro di incontri drammatici e a volte catastrofici con tradizioni religiose non indiane.
Il subcontinente ha inoltre ospitato alcune tradizioni religiose perseguitate, provenienti da diverse parti del mondo (ad esempio gli ebrei, gli zoroastriani, i bahaisti). L’India è virtualmente la patria di tutte le religioni contemporanee del mondo, e l’interazione e il dialogo fra di esse hanno prodotto forme culturali molto creative. Nel mondo indiano, le diverse comunità hanno sviluppato modi innovativi di convivenza che vengono costantemente riadattati, e hanno elaborato modalità di dialogo e di rinnovamento religioso che spesso scavalcano completamente le differenze teologiche. Attraverso questo processo, hanno generato molti simboli culturali comuni e hanno dato vita a pratiche socio-religiose e a codici di comportamento che facilitano una coesistenza non antagonistica, pur mantenendo le specifiche identità. Di conseguenza le linee di demarcazione fra comunità religiose diverse e fra tradizioni religiose popolari e classiche hanno conservato una grande fluidità e complessità.
Purtroppo lo studio delle culture e delle religioni indiane non è diventato una disciplina consolidata nel mondo accademico dell’India contemporanea. Mentre diverse prestigiose università in varie parti del mondo hanno dipartimenti ben strutturati per lo studio delle religioni dell’India, in pochissime università indiane ci sono analoghi programmi rigorosi di studi religiosi e culturali. Una delle conseguenze di questa lacuna è il permanere di stereotipi fuorvianti sulla natura del pensiero e della pratica religiosa indiana e sui rapporti fra le comunità etno-religiose che vivono nel subcontinente.
Un’importante ricaduta di questo disinteresse è il fatto che politici poco scrupolosi, approfittando dell’ignoranza della gente a proposito delle proprie antiche tradizioni, possono facilmente manipolare i sentimenti religiosi. Come la spartizione dell’India secondo linee di demarcazione religiose è stata opera di politici laici come Jinnah e non di leader religiosi, così le questioni come quella del Babri Masjid-Ram Mandir sono state sollevate da uomini politici per motivi elettorali più che da leader religiosi. L’ignoranza della storia delle religioni e delle culture indiane è diffusa anche nella cosiddetta élite colta del paese. I più importanti fra i templi indù e i gurudwara sikh sono gestiti da politici e da burocrati. Gli imam sono ridotti alla condizione di impiegati statali. Eppure queste intrusioni politiche nelle istituzioni religiose non sono oggetto di studio e non vengono messe in discussione in India, neppure da parte di coloro che credono nella separazione della religione dallo stato.
La serie di conferenze che stiamo organizzando su “religioni e culture nella civiltà indiana” cerca di colmare questo vuoto. Il nostro obiettivo è quello di promuovere e incoraggiare lo studio di questioni vitali ma trascurate, che hanno un impatto profondo sul benessere della nostra società. Speriamo di incrementare l’interesse per uno studio rigoroso delle tradizioni religiose indiane e delle manifestazioni culturali ad esse associate: induismo, zoroastrismo, bahaismo, giainismo, buddismo, neo-buddismo, cristianesimo, islam e sikhismo, con le loro diverse sette e ramificazioni.
Abbiamo cercato di mettere su una sola piattaforma un ampio ventaglio di punti di vista e di prospettive provenienti da campi diversi e spesso reciprocamente ostili. Chi conosce il mondo accademico indiano dovrebbe sapere che praticamente in tutte le discipline c’è una netta divisione fra chi si reputa di sinistra e tutti quelli che sono considerati di destra. Le due parti si incontrano raramente per dialogare su una piattaforma comune e tendono ad attaccarsi a vicenda attraverso i giornali o nelle rispettive aree dove l’«altro» è criticato in sua assenza. Questa divisione degli studiosi in due campi permanentemente ostili si è dimostrata molto dannosa per le istituzioni accademiche indiane, perché influisce anche sulla scelta delle risorse umane. All’interno di ciascun gruppo, le persone sono spinte a schierarsi apertamente o segretamente per un determinato partito nazionale o regionale. La conseguente lotta per il controllo sulle istituzioni accademiche attraverso nomine clientelari ha contribuito non poco a danneggiare le nostre istituzioni educative. La maggior parte delle questioni accademiche finisce per essere discussa secondo linee di partito più che sulla base di una valutazione meditata dei pro e dei contro.
Questa situazione deve cambiare se vogliamo promuovere uno spirito di autentica ricerca intellettuale. La nostra capacità di affrontare questioni complesse e di trovare soluzioni efficaci a molti problemi controversi rimarrà menomata se non impariamo a trattare le questioni e l’attività accademica in maniera non partigiana. Per questo motivo il Comitato organizzatore della conferenza ha lavorato molto per ottenere che persone con vedute politiche e filosofie sociali diverse si incontrassero e si impegnassero in un dialogo ricco di significato. Nei prossimi anni speriamo di poter rafforzare questa tendenza e di riuscire a creare uno spazio accademico più ampio per coloro che desiderano rimanere svincolati dai partiti politici e dalle battaglie degli “ismi”».