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Venerdì 19 maggio 2017 ore 20.45
presso il Centro Natura - Sala del camino

via degli Albari 4/a - Bologna

 

collana InterCulture
già rivista dell’Istituto Interculturale di Montreal

presentazione del volume:

Vie di pace
 
intervengono:
Arrigo Chieregatti
direttore della collana

Antonio Genovese
pedagogista
 
Pace è consuetudine e scambio di vita fra gli uomini:
dalla famiglia al clan, al popolo, alla moltitudine delle genti.
Un cammino faticoso, perché l'uomo trova difficile
non mettersi al primo posto
considerando gli altri come vassalli.
Molte sono le vie della pace.
Questo volume ne esplora alcune.

 
scarica il programma dettagliato
 
Riflessioni sulla cultura dei diritti dell'uomo PDF Stampa E-mail
di Luigi Arnaboldi

Per la presentazione del numero 5 della rivista («La cultura dei diritti dell’uomo ») abbiamo ricevuto il dono di ascoltare Agustì Nicolau-Coll, vice-direttore dell’Istituto Interculturale di Montréal. La sua presenza tra noi testimonia l’attiva collaborazione in atto con l’Istituto canadese nel comune cammino di ricerca-azione sull’interculturalità. La profonda esperienza e la competenza di Nicolau-Coll hanno permesso di approfondire la questione della pretesa universalità dei diritti umani sia nell’incontro di presentazione alla Libreria Feltrinelli di Bologna (6 ottobre) sia nel successivo seminario tenutosi a Casalecchio di Reno ­(8 ottobre).
Il relatore ha voluto subito precisare che il suo intento non è di rifiutare i diritti umani ma di «relativizzare la loro portata e scoprire i pericoli che comportano in una visione universalistica delle cose». D’altronde la continua relazione con persone di culture «altre» ci mette in situazione per ascoltare le loro opinioni sui diritti umani. Colpisce, ad esempio, quest’acuta analisi di uno studioso senegalese: «In Africa Nera, in nome dei diritti umani, stanno imponendoci la società individualistica e consumistica e stanno spezzando la solidarietà comunitaria».
Nicolau-Coll ha proposto un percorso di riflessione in tre tappe:
  1. il contesto storico in cui sorgono;
  2. il loro contesto culturale;
  3. la questione della loro presunta universalità.
Dal punto di vista storico va ricordato che i diritti umani sono stati affermati nell’ambito della rivoluzione francese come strumento di difesa in contrapposizione al regime monarchico. Ma successivamente, e in particolar modo nel XX secolo, sono arrivati a svolgere una funzione di strutturazione della società. Nati come diritti politici, nella Dichiarazione del 1948 hanno assunto risvolti di carattere economico e sociale, fino ad inglobare in seguito anche la dimensione culturale. Queste «tre generazioni» di diritti umani ci introducono nel nostro oggi, dove già si parla della «quarta generazione»: sono quei nuovi diritti legati a tutta la questione del vivente, della bioetica e della globalizzazione. Possiamo dunque ipotizzare che ci sarà una quinta generazione, poi una sesta, e così via. La storia dei diritti umani, che reputiamo universali, evidenzia che hanno conosciuto un’evoluzione e ancora la conosceranno. Non sono dunque una realtà «data», ma sono suscettibili di cambiamenti.
Richiamando l’articolo di Panikkar contenuto nella rivista, Nicolau-Coll ha invitato i suoi ascoltatori a riflettere sui tre elementi fondamentali che, dal punto di vista culturale, stanno alla base della Dichiarazione universale dei diritti umani:
  1. il postulato dell’esistenza di una natura umana universale;
  2. la credenza che la dignità è soprattutto la dignità dell’individuo;
  3. la convinzione che tutto ciò si articola in un ordine democratico.
Questi diritti nascono come conseguenza di presupposti culturali occidentali che possono legittimamente essere assenti in altre culture. Per esempio, ha chiarito il relatore, l’Occidente pensa «l’essere umano soprattutto come un individuo. Ciò significa che io sono diverso dagli altri per la mia individualità, che la mia autonomia è la cosa più importante, e che io sono un fine in quanto tale. I miei diritti sono al servizio della finalità di me come individuo». Ma questa concezione è lungi dall’essere universale perché, ad esempio, altre culture mettono al centro la comunità e non l’individuo.
Per valutare la questione dell’universalità siamo dunque chiamati a esaminare le altre culture per scoprire quali siano i loro profondi miti di riferimento. Secondo il relatore, per conoscere una cultura «altra» c’è da rispondere a tre domande fondamentali:
  1. qual è la sua visione dell’universo?
  2. quali sono le sue caratteristiche sociali?
  3. quali sono le nozioni centrali su cui si articola la vita in società?
La visione dell’universo è specifica in ogni cultura. Nel paradigma occidentale il mondo è imperfetto. Necessita dunque di essere riformato con la partecipazione dell’uomo alla creazione di Dio (prospettiva cristiana) o col progresso (prospettiva non cristiana). Nella cultura indù, che vede l’universo come una manifestazione del «non manifestato», il mondo è perfetto e non ha bisogno di essere perfezionato. Nella visione dell’Africa Nera il mondo, sorto dal caos, vive un’armonia che è il risultato della complementarietà di cose differenti. La coesione dell’universo si fonda su queste differenze irriducibili, e ciò permette un processo di creazione continua.
Queste diverse visioni del mondo hanno poi delle ripercussioni nell’articolazione sociale. Nell’Africa Nera l’unità sociale è intesa come frutto di una complementarietà di differenze, ma mai a partire da norme imposte dall’esterno (per esempio, una dichiarazione di diritti). Nel contesto indù la realtà sociale si esprime in una pluralità di forme e in una «gerarchia» che riflette un ordine sacro. L’unità non è percepita come risultato della legalità e dell’uniformità, ma della diversità stessa. Nel contesto occidentale moderno troviamo due elementi che fondano l’articolazione sociale: la persona intesa come individuo e il contratto sociale fra individui autonomi.
Questi aspetti ci permettono di osservare quanto siano diverse fra loro le nozioni centrali che alimentano le culture. Nicolau-Coll le ha così schematizzate:
  •   il paradigma della sottomissione (Occidente);
  •   il paradigma dell’interconnessione della realtà (India);
  •   il paradigma della differenziazione (Africa Nera).
In Occidente c’è un paradigma della sottomissione: ci si sottomette a una serie di norme imposte dall’esterno per garantire l’ordine sociale. Nel contesto indù indiano, la nozione centrale è quella di dharma («ciò che assicura la coesione di tutto il cosmo»). Non si tratta di seguire una norma morale stabilita dall’esterno, ma di scoprire e vivere il proprio dharma interiore. Non ci si domanda se un’azione rispetta o meno il diritto, ma se è dharmica o non dharmica. Nel contesto africano al centro sta la forza della tradizione tramandata dagli anziani. In caso di conflitto è la parola degli antenati che sorge dal «ventre» della comunità ad essere il punto di riferimento.
Nicolau-Coll, evidenziando gli specifici orizzonti mitologici di ogni cultura, ci ha messo in situazione per problematicizzare la pretesa universalità della Dichiarazione universale dei diritti umani. Ha poi concluso il suo intervento richiamando un’antica massima di saggezza: «Quando il Tao (la tradizione, il cammino profondo) scompare, sorge la morale; quando scompare la morale, sorge l’etica; quando scompare l’etica, sorge il diritto; quando scompare il diritto, sorge la guerra». Da qui la domanda: il diritto ci conduce più vicino alla guerra o più vicino all’interiorità?