Prefazione al n. 9 |
di Robert Vachon Come annunciato in precedenza, in questo numero di InterCulture cerchiamo di rispondere alle seguenti domande:
Il dossier presenta tre testimonianze personali diverse:
La sezione «Scaffale» offre una panoramica (necessariamente parziale) dei testi reperibili presso il Centro di Documentazione dell’IIM a Montréal, raccolti nel corso di 44 anni di ricerca e di studio. Fin dalle origini dell’Istituto e della rivista (iniziata nel 1968) abbiamo sempre privilegiato la testimonianza e l’esperienza vissuta. Come fondatore e direttore della rivista vorrei aprire questo dossier con alcune riflessioni personali. La parola «religione» (dal latino religare = legare) è una parola occidentale che molte culture del mondo non usano. L’India induista e i paesi buddisti preferiscono parlare di dharma, i musulmani di din, i cinesi di tao, gli autoctoni d’America di parentela cosmica e di spiritualità, alcuni ebrei di ruah haqodesh (spirito di santità)... Notiamo inoltre che le parole occidentali «religione» e «religioso» assumono significati molto diversi, non solo all’interno dell’Occidente ma anche a contatto con le altre tradizioni dell’umanità. Alcuni ad esempio identificano la religione innanzitutto con l’istituzione, l’organizzazione, l’ideologia, altri con le credenze, altri con la fede come apertura esistenziale, altri con una dimensione umana personale e nello stesso tempo comunitaria, che di conseguenza non può essere confinata esclusivamente nella sfera privata o esclusivamente in quella pubblica, dal momento che viene percepita come una conoscenza che ama, come un amore che conosce, cioè che scaturisce dallo spirito e non solo dalla ragione. Come dice Raimon Panikkar, La religione del futuro non potrà essere un semplice richiamo alla trascendenza o una mera spiritualità immanente. Dovrà riconoscere l’irriducibilità dei tre poli della realtà [l’umano, il cosmico e il divino], cambiando così il senso unilaterale del concetto di religione. Questa continuerà indubbiamente a «religare» l’uomo, ma non esclusivamente a Dio, bensì all’intero universo, mettendone in luce in tal modo la coesione e il senso. La religiosità (la relazionalità), il dialogo inter/intrareligioso presuppone la fiducia nell’altro fondata su un «vedere con amore», sul senso critico, sull’intuizione, su una fiducia che include una simpatia spontanea. Una spiritualità autentica non si oppone a tutto ciò che è razionale e istituzionale, ma trascende queste due dimensioni senza trascurarle. Cerca l’armonia e la concordia senza voler ridurre tutto a un denominatore comune, seguendo la via dell’interazione e del dialogo. Tutto è interconnesso: il buddismo parla di pratytyasamutpada,2 il cristianesimo di perichoresis,3 l’induismo di sarvam sarvatmakam o di ad-vaita (a-dualità), la spiritualità autoctona (mohawk e irochese) di grande parentela cosmica. Questo numero di InterCulture vuole contribuire a una liberazione dagli schemi ristretti in cui sono state rinchiuse quelle realtà che in linguaggio occidentale si è soliti chiamare «identità», «religione» e «pluralismo». Come non si può ridurre la persona all’individuo, la comunità alla collettività, l’identità all’identificazione, il pluralismo alla pluralità, così non è possibile ridurre la religione all’istituzione e all’organizzazione. In sintesi, non si può ridurre la Realtà e la Vita alla razionalità, anche se quest’ultima ha un posto importante. Note 1. R. Panikkar, La religion de l’avenir, in InterCulture (ediz. canadese) n. 107, 1990, p. 23. 2. N.d.t. – La radicale relatività di tutte le cose. 3. N.d.t. – Interpenetrazione reciproca (nozione della dottrina trinitaria della Chiesa). |