Raimon Panikkar e la proposta dell’ecosofia
di Luigi Arnaboldi

In rapporto al tema di questo numero di InterCulture, ci sembra opportuno proporre all’attenzione dei lettori due testi di Raimon Panikkar da cui emerge il suo pensiero sull’argomento:
  • Panikkar R., Ecosofia: la nuova saggezza. Per una spiritualità della terra, Cittadella editrice, Assisi 1993.
  • Panikkar R., La realtà cosmoteandrica. Dio-uomo-mondo, Jaca Book, Milano 2004.

Il limite dell’ecologia
L’ecologia è stata molto importante perché ha evidenziato le questioni ambientali della nostra epoca. Ci ha aiutato a prendere coscienza dei limiti del pianeta terra e delle conseguenze del processo di industrializzazione. Senza la dimensione ecologica ormai non possiamo più vivere: ogni problematica odierna ha da tenere in considerazione l’impatto ambientale delle azioni umane, cioè le conseguenze sulla natura e sull’uomo che ci vive dentro.
Riconosciuta questa validità, l’ecologia ha però anche un grande limite. Essa tende a ridursi a un semplice approccio tecnico ai problemi ambientali senza risalire alle cause ultime che li determinano. È quindi a rischio di non ricercare i presupposti culturali e filosofici che stanno all’origine della questione ambientale. Un conto è proporre delle soluzioni tecniche al problema dell’inquinamento (per esempio, creare dei filtri sulle auto che permettano di ridurre l’emissione di anidride carbonica nell’astmosfera), altro è riflettere sulle cause (per esempio, indagare sui motivi che ci portano a spostarci così tanto con le macchine). Solo avviando una riflessione in quest’ultima direzione si potranno individuare le cause ultime dell’inquinamento che porteranno a mettere in discussione i presupposti culturali e filosofici del nostro oggi (cfr. Panikkar, 2004, pp. 72s).
Questo limite dell’ecologia è emerso, ad esempio, nella recente Conferenza di Bangkok del Comitato scientifico dell’Onu sul cambiamento del clima,1 conclusasi con la dichiarazione del 4 maggio 2007. Un’analisi delle cronache dei giornali mette in evidenza che le proposte degli scienziati per ridurre l’effetto serra fanno riferimento a due argomentazioni centrali: si tratta di misure economicamente sostenibili (inciderebbero solo dello 0,12% sul Pil) ed esistono le tecnologie per rallentare la crescita delle emissioni.2 Oltre a un’incoerenza di fondo del rapporto (si dichiara l’urgenza di un intervento, ma poi si scrive che le misure dovrebbero iniziare a partire dal 2015), c’è da mettere in rilievo soprattutto la mancata analisi delle cause che generano l’effetto serra. Tra i tanti articoli visionati, uno soltanto accenna a questa analisi più profonda: «(…) la cosa più urgente è cambiare il modo di produrre e consumare energia, passare a fonti rinnovabili».3 Anche in questo caso però non c’è una minima ricerca sul perché noi abbiamo bisogno di tanta energia per produrre e se produrre così tanto è davvero necessario.
C’è da rendersi conto che l’ecologia, se si riduce a soluzioni tecniche da adottare, non è in grado di generare quei cambiamenti profondi capaci di determinare un reale mutamento di mentalità, che è poi il solo capace di risolvere alla radice le questioni ambientali. In breve, manca all’ecologia la capacità di mettere in discussione l’odierna visione del mondo e dell’uomo che poi produce gli squilibri con la natura.

La proposta dell’ecosofia
Collocandosi sul piano di una riflessione più profonda, Panikkar propone la sua ecosofia.4 Questa nuova parola, che per l’autore ha il senso di saggezza della terra, esprime ciò che può permettere quel radicale mutamento culturale di cui abbiamo bisogno per generare un futuro nuovo per noi e per il pianeta. Mentre l’ecologia tende a non mutare la sua visione della natura come «oggetto», l’ecosofia la fa diventare un «soggetto». Non si tratta più di elaborare una visione umana della natura, ma di lasciare che sia la natura a rivelarsi a noi. L’uomo non è più il padrone dell’ambiente, ma è chiamato a entrare in comunione con la natura perché essa sveli il suo proprio senso.
In sintesi, la conversione a cui l’ecosofia ci chiama è questa: la natura da «oggetto» ha da diventare «soggetto». Semplificando un po’ le cose, possiamo fare un esempio. Una tribù è stata benedetta e la sua popolazione sta crescendo così tanto che si rende necessaria la creazione di un nuovo villaggio. Per poter realizzare questo nuovo insediamento serve la presenza dell’acqua. Il capo villaggio, innanzitutto, rivolge delle preghiere all’acqua perché sia loro d’aiuto e chiede scusa per l’azione che sta per compiere. Assieme agli altri apre poi l’argine del corso d’acqua e lascia scorrere liberamente l’acqua. Una volta che l’acqua ha disegnato il suo percorso naturale, si decide dove è più conveniente iniziare un nuovo insediamento umano. Certamente non sarà troppo vicino all’acqua, perché ha sempre da essere rispettata. Si determinerà assieme una zona che meglio si presti alle necessità della gente.
Noi, invece, come avremmo fatto? Avremmo prima calcolato dove l’acqua si sarebbe diretta. E appena ci fossimo accorti che il suo percorso naturale sarebbe andato a incidere sugli interessi legati a un’area edificabile o avrebbe in qualche modo danneggiato gli interessi di una vicina industria, avremmo preso provvedimenti per deviarne il corso. Sono due atteggiamenti veramente opposti. Nel primo caso l’acqua è considerata un «soggetto»: è lei che determina da se stessa dove andare. Nel secondo è pensata come «oggetto»: una delle tante cose di cui l’uomo è padrone e di cui può disporre come meglio crede, specialmente per tutelare gli interessi economici di alcuni. Nel primo caso si presuppone che l’acqua sappia da se stessa come meglio armonizzarsi con l’ambiente, uomo compreso: l’acqua è «amica». Nel secondo si pensa che l’acqua possa arrecare danni all’ambiente e all’uomo: l’acqua è «nemica».
Relazionarsi con la natura come con un «soggetto amico» non significa, comunque, ritornare a vivere come nell’età della pietra. Si tratta, invece, di generare un nuovo rapporto con le realtà materiali in modo che nascano dei nuovi rapporti di armonia. E neppure significa, precisa Panikkar, un ritorno sentimentale alla natura, ma un riprendere coscienza della nostra relazione sacramentale con la natura (cfr. Panikkar, 2004, pp. 72s).

Far pace con la terra
Il cambiamento culturale, capace di rimuovere le cause ultime dell’ecocidio, ha da portarci a considerare la terra come nostro corpo e il corpo come nostro Sé. Nostro, però, precisa Panikkar, non è da intendersi come proprietà privata e individuale, altrimenti saremmo al punto di partenza. Si tratta infatti di sconfiggere il nostro peggior nemico che è l’individualismo: «Né la terra, né il corpo, né il Sé si identificano con il mio (psicologico) ego» (Panikkar, 1993, p. 152). La Parola, come dicono le scritture sacre (Veda, Bibbia), non appartiene solo a me, ma io ne sono compartecipe assieme a tutti gli altri uomini e a tutte le realtà create. Conclude Panikkar: «Il problema ecologico è strettamente teologico e viceversa» (Panikkar, 1993, p. 152).
L’ecologia mira a un altro modo tecnologico di sfruttamento più razionale e duraturo della terra: non ha come obiettivo quel mutamento radicale del rapporto con la terra che solo può condurci a vivere la terra non come un oggetto di conoscenza o di cupidigia, ma come parte di noi stessi, del nostro Sé. Finché noi non faremo questa conversione non risolveremo la questione ambientale. Per esempio, c’è da rendersi conto che la scissione dell’atomo è stata un aborto cosmico: «Noi uccidiamo e tiriamo fuori dal ventre stesso della materia quelle particelle di energia supplementare delle quali la nostra cupidigia ha bisogno perché abbiamo infranto il ritmo della natura» (Panikkar, 1993, p. 153). Se non abbiamo coscienza di questa nostra pretesa assurda, nulla potrà mai cambiare veramente.
La terra non è da dominare. Noi invece vogliamo riportare vittoria sulla terra, vogliamo la sua sottomissione e il suo sfruttamento. C’è da instaurare una nuova relazione con la terra che ne rispetti i cicli viventi. Non si tratta di instaurare una visione idilliaca o idealistica di totale passività, e neppure una visione statica della vita. C’è, invece, da riconoscere e rispettare il ciclo dell’essere (morte/vita/risurrezione) come una realtà vivente. Solo così nascerà una visione della terra che sia collaborazione, sinergia e nuova consapevolezza.

Novenario politico
La questione ecologica chiama a una conversione culturale che metta in discussione alcuni capisaldi della modernità occidentale. È necessaria una nuova visione «politica» della realtà e della vita comunitaria. Pannikar individua nove questioni fondamentali che necessitano di una radicale rifondazione. Solo attuando questo programma politico sarà possibile rimuovere le cause ultime che determinano l’ecocidio (Panikkar, 1993, pp. 141-145).
1) Demonetizzare la cultura
Nella cultura moderna occidentale, il denaro ha assunto un ruolo fondamentale: tutto è monetizzato, tutto dipende dal denaro, tutto si può misurare con il denaro. Ma la realtà della vita sulla terra resta qualcosa di incommensurabile che sfugge alle logiche del business. «E ciò non riguarda soltanto i valori spirituali, ma anche le realtà materiali. Dover pagare l’acqua, l’alimentazione, e fra poco anche l’aria, è segno di una cultura malata».
2) Demolire la torre di Babele
Uno dei segni più forti dei nostri tempi è lo sfrenato potere del mercato che, in una realtà di economia globale, tende a concentrare la ricchezza sempre più nelle mani di pochi. Ricchezza è controllo, e controllo è omologazione (tutto uguale), che è il contrario di pluralità (diversità). Senza diversità, in un mondo in cui la civiltà tecnocratica risveglia la tentazione di un impero globale, la lotta per la sopravvivenza diventa inevitabile: c’è spazio solo per i migliori, c’è lavoro solo per i più fortunati, chi vince si afferma. In questo modo la vita, anziché essere una possibilità per tutti, diventa un inferno dove ognuno lotta contro tutti per affermarsi, e tende ad isolarsi e a diventare autosufficiente invece che ad inserirsi socialmente in una sana rete di rapporti di interdipendenza.
3) Superare l’ideologia degli stati nazionali
Gli Stati-nazione sono intrappolati in una logica di mercato, e l’economia governa lo Stato: oggi non è più la politica a governare. Per questo lo Stato non può più rispondere alle esigenze sociali del paese, e tanto meno a quelle dell’ambiente in cui viviamo. Superare i nazionalismi di Stato non significa tuttavia trasferire la stessa ideologia a unità più vaste o all’intera umanità. Gli antichi credevano in un ordine cosmico o in un Dio che ne era garante. Se non troveremo qualcosa di equivalente a questi simboli, non riusciremo mai a realizzare il delicato equilibrio fra libertà e coesione sociale.
4) Ricondurre la scienza moderna entro i propri limiti
Il «successo» (anche economico) della scienza moderna ha modificato il  modo di vivere e di pensare della civiltà umana. Siamo arrivati a un punto in cui non è più possibile imporre dall’esterno dei limiti alla scienza, e a volte neppure mettere in discussione la sua pretesa di garantire ogni conoscenza o intuizione della realtà. Si veda, ad esempio, l’inarrestabile espansione dell’ingegneria genetica o nucleare. È necessario riconoscere che non tutto è riconducibile alla scienza e che la scienza stessa va reinserita in un contesto più ampio, scoprendo e rispettando le interconnessioni con le altre sfere della Realtà.
5) Sostituire la tecnocrazia con l’arte
La tecno-scienza moderna produce la tecnocrazia che domina la società attuale. I mega-meccanismi del sistema tecnocratico sono quelli che realmente dettano legge. «Produzione di armi, inflazione, crescita delle megalopoli, trasformazione dell’agricoltura in industria agricola, sono tutte leggi fatali del sistema». L’alta specializzazione che la tecnologia richiede priva la gente della possibilità di decidere del proprio destino. Gli adulti diventano bambini, non sono in grado di decidere, devono solo obbedire al sistema che «sa». È necessario recuperare l’arte, non nel senso folcloristico che le si attribuisce oggi, ma nel senso di «creazione artistica» della propria persona, in collaborazione con gli altri, con la materia, col divino... E in questo senso va recuperata anche l’arte politica, non delegabile ai tecnocrati o agli esperti.
6) Superare la democrazia
Il concetto di democrazia moderna è in crisi, perché il popolo (demos) può avere potere (kratos) soltanto se è qualcosa di più di una somma di individui più o meno isolati. Oggi si tende ad essere autonomi, mentre l’uomo è per sua natura relazionale. La democrazia è una tecnica indispensabile, ma è anche debole come teoria. Tutte le antiche democrazie facevano riferimento a un potere superiore. Oggi abbiamo cancellato gli dei, ma rischiamo la tirannide del sistema economico e tecnocratico.  Abbiamo bisogno di una nuova «visione del mondo» che ci restituisca la relazione con tutte le sfere della Realtà.
7) Recuperare l’animismo
Si tratta di riconoscere che tutto è vivente: ogni essere animale e vegetale, ma anche le montagne, il suolo, l’acqua e l’aria, in una infinita serie di relazioni fisiche e spirituali. L’animismo di cui si parla qui è un superamento di tutte le visioni razionalistiche e meccanicistiche del mondo. Non significa affermare che tutto è fatto della stessa materia, ma riconoscere che ogni cosa racchiude una scintilla di libertà e di vita.
8) Far pace con la Terra
La terra è parte di noi stessi, del nostro Sé. Stringere un Patto di alleanza con la terra significa fare un patto di fedeltà verso noi stessi. Si tratta di rinunciare al dominio e allo sfruttamento per instaurare un rapporto di collaborazione, di sinergia e di nuova consapevolezza.
9) Recuperare la dimensione divina
Parlare del divino vuol dire accettare «qualcosa» di irriducibile e pur tuttavia relazionato con noi, un qualcosa che sta al di sopra di tutto e nello stesso tempo pervade tutto. La realtà è «cosmoteandrica»: Dio-uomo-cosmo sono un tutt’uno imprescindibile, come una sorta di respiro universale.

L’intuizione cosmoteandrica
Uno degli aspetti principali, se non quello centrale, del pensiero di Panikkar è ciò che egli chiama l’intuizione cosmoteandrica. Questo neologismo creato dall’autore è formato da tre parole greche: kosmos (il mondo, la materia, l’universo), anthropos (l’essere umano) e theos (Dio, la dimensione divina, il principio costitutivo di tutte le cose).
Con questo termine Panikkar vuole affermare le tre dimensioni irriducibili che costituiscono il reale, cioè ogni realtà in quanto tale: il divino, l’umano e il terrestre. Riporto tre citazioni di Pannikar che ci aiutano a capire la sua visione della realtà cosmo teandrica:
Le tre dimensioni della realtà non sono né tre modi di una realtà monolitica indifferenziata, né tre elementi di un sistema plurale. Vi è piuttosto una relazione intrinsecamente triplice che esprime la costituzione ultima della realtà. Tutto ciò che esiste, qualsiasi essere reale presenta questa costituzione una e trina espressa nelle tre dimensioni (Panikkar, 2004, p. 93).  
Questa visione  ci dice che la realtà non è formata né da un blocco unico indistinto – sia esso divino, spirituale o materiale – né da tre blocchi o da un mondo a tre livelli – il mondo degli Dei (o della Trascendenza), il mondo degli uomini (o della Coscienza) e il mondo fisico (o della Materia) –, come se si trattasse di un edificio a tre piani. La realtà è costituita da tre dimensioni relazionate le une con le altre (…), così che non solo una non esiste senza l’altra, ma tutte sono intrecciate inter-in-dipendentemente (Panikkar, 2004, pp. 15-16).
La realtà non è Dio, Uomo, Mondo, o Infinito, Coscienza e Materia come tre esseri intrinsecamente relazionati. La realtà non è composta né divisibile. La realtà è; ma quello che è noi lo scopriamo come un movimento dinamico o come una relazionalità. La metanoia di cui abbiamo parlato come «superamento del mentale» (più che cambiamento di mentalità) ci permette di percepire il movimento relazionale, la perichoresis come la chiamava la tradizione cristiana, cioè la danza cosmoteandrica del reale (Panikkar, 2004, p. 101).

Per chiarire il suo pensiero Pannikar usa l’immagine del cerchio.
Un vecchio mandala potrebbe forse aiutarci a rappresentare l’intuizione cosmoteandrica: il cerchio. Non vi è cerchio senza un centro e una circonferenza. I tre non sono la stessa cosa, eppure non sono separabili. La circonferenza non è il centro, ma senza questo non esisterebbe. Il cerchio, in se stesso invisibile, non è né la circonferenza né il centro, tuttavia è circoscritto dall’una e implica l’altro. Il centro non dipende dagli altri poiché è un punto senza dimensioni, eppure non sarebbe il centro (né nessuna altra cosa) senza gli altri due. Il cerchio, visibile solo dalla circonferenza, è la materia, l’energia, il mondo. E questo perché la circonferenza, l’uomo, la coscienza, lo comprende. Ed entrambi sono ciò che sono perché vi è Dio, un centro che in se stesso (cioè in quanto Dio, parafrasando gli antichi) è una sfera il cui centro è dappertutto e la cui circonferenza in nessuna parte (Panikkar, 2004, p. 118).
Nel periodo più antico della storia dell’uomo, che Panikkar chiama «ecumenico» per indicare la stretta coabitazione dell’uomo «con tutte le forze naturali e divine dell’universo», la «visione della realtà è cosmocentrica: la terra è il centro dell’universo e la religiosità umana è fondamentalmente ctonia» (Panikkar, 2004, p. 49). Nella successiva fase «economica» è l’uomo a collocarsi al centro, con tutta «la grandezza e il pericolo di ogni sorta di umanesimo» (Panikkar, 2004, p. 57). L’intuizione cosmoteandrica oggi ci chiama a generare nuove armonie.
Cito ancora direttamente Panikkar:
La visione cosmoteandrica non gravita attorno a un singolo punto, né Dio, né l’Uomo, né il Mondo, e in questo senso non ha centro. I tre coesistono; essi sono in interrelazione e possono essere gerarchicamente integrati o coordinati, ma non possono essere isolati, poiché questo li annienterebbe.
L’intuizione cosmoteandrica che ho cercato di descrivere rappresenta, credo, la coscienza religiosa che sta emergendo nel nostro tempo. L’uomo moderno ha ucciso un Dio isolato ed insulare; la terra contemporanea sta uccidendo un uomo rapace e spietato e Dio sembra avere abbandonato sia l’uomo che il cosmo. Ma avendo toccato il fondo, percepiamo segni di resurrezione. Alla radice della sensibilità ecosofica scorre una corrente mistica; nel fondo dell’autocoscienza dell’uomo si palesa una necessità di infinito e di intelligibile e nel cuore stesso del divino vi è un forte impulso verso il tempo, lo spazio e l’uomo (Panikkar, 2004, pp. 119-120).

Note
1  Si tratta del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), che era composto da 400 delegati, provenienti da 120 paesi. Questo è il terzo rapporto reso noto dall’Ipcc in pochi mesi (il primo è quello di Parigi che riguardava le basi scientifiche del cambiamento climatico, il secondo è quello di Bruxelles sull’adattamento ai fenomeni avversi). Le affermazioni conclusive di questo Comitato rappresentano sempre l’ultimo parere autorevole degli scienziati che vincola anche i politici (cfr. www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_2131411144).
2 Si veda, per esempio, il quotidiano La Stampa che scrive: «C’è un rapporto dell’Onu che dice che combattere il riscaldamento globale è economicamente sostenibile e che è disponibile la tecnologia per rallentare la crescita delle emissioni di gas serra e fermare il caos climatico» (www.lastampa.it/cmstp/rubriche/stampa.asp?ID_blog=51&ID_articolo=230).
3 www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/05-Maggio-2007/art3.html.
4 Pannikar si riallaccia in qualche modo a H. Skolimowski che parla di «ecofilosofia».