Creare comunitarietà

di Arrigo Chieregatti e Bruno Amoroso

Premessa
Da tutti viene ammessa la situazione di crisi, ma di quale crisi si parla?
Della crisi del sistema di libero mercato, o del regime del consumismo a fondamento dell’impresa?
Oppure della crisi determinata dallo squilibrio economico e morale?
C’è la ricerca che la crisi finisca, ma per tornare forse alla situazione precedente alla crisi, che ci ha portati alla situazione da cui vorremmo uscire?
Possiamo ancora dimenticare che aumenta nel mondo il numero delle persone che vivono sotto la soglia della sopravvivenza? Forse 1200 milioni. E forse 60.000 persone ogni giorno muoiono di fame.
Come possiamo giustificare il nostro silenzio?
Da tutti viene denunciata la depravazione morale e l’incapacità politica dei nostri governi, ma non possiamo dimenticare la dissociazione interiore dentro ognuno di noi, dentro le nostre famiglie, dentro i nostri gruppi, dentro le nostre nazioni: il ritmo del progresso sembra avere provocato una rottura e uno squilibrio difficilmente sanabili.
La civiltà umana era sorta in un equilibrio e in una cooperazione tra mente e mano, e l’evoluzione di ambedue avanzava sullo stesso ritmo. Oggi le nuove tecniche (tecniche meccaniche, di informazione, di studio, di scuola, tecniche didattiche, psicologiche, mediche, religiose, politiche, artistiche...) avanzano con ritmo incredibile, mentre le nostre menti non sono più capaci di sapere in quale direzione sta camminando il progresso. Il potere della tecnica è tale che sembra che nessuno possa fermarla, e ormai la tecnica sembra essere più forte e più determinante del potere degli esseri umani. Sembra che la mente e il braccio non siano più capaci di essere in armonia tra loro, anzi che ormai sia il braccio che dirige la mente e la condiziona.
Un mondo in cui la tecnica supera in importanza il sapere (il gusto, il sapore, il godimento...) è un mondo che vive alla dipendenza dell’interesse, spesso dell’interesse economico, che manovra le ricerche, le invenzioni e le applicazioni.
Le evoluzioni tecniche sono dissociate dalla mente, e siamo forse giunti ad attribuire alla tecnica il nome di progresso, mentre le relazioni umane sono vissute come degradazione, inciampo e fastidio.
Forse abbiamo dimenticato che dalle nostre emozioni, dalle nostre passioni, dai nostri bisogni di relazione derivano le nostre convinzioni e i nostri comportamenti.
Il problema sempre più grave è che, sotto la spinta della tecnologia, rischiamo di far prevalere le tecniche e gli strumenti sul fine e sugli obiettivi per i quali le tecniche erano state inventate.
In medicina la preparazione tecnica del medico sembra avere un valore in se stessa, e forse si è perso l’obiettivo che dovrebbe essere la guarigione dell’ammalato o il suo accompagnamento alla morte. Sembra di fatto che la medicina sia più attenta a curare malattie che a curare ammalati.
Nella scuola, la formazione tecnica dell’insegnante sembra essere il primo obiettivo da raggiungere, mentre l’educazione dello studente sembra non avere lo stesso valore. (Un insegnante di matematica ha affermato: «Io sono pagato per insegnare il teorema di Pitagora, non è mio compito l’educazione degli studenti»).
Può essere utile questo pensiero di Antoine de Saint-Exupéry:

«Se vuoi costruire una nave,
non richiamare prima di tutto
gente che procuri la legna,
che prepari gli attrezzi necessari;
non distribuire compiti,
non organizzare lavoro.
Prima risveglia invece negli uomini
la nostalgia del mare lontano e sconfinato.
Appena si sarà svegliata in loro questa sete,
gli uomini si metteranno subito al lavoro
per costruire la nave».


La situazione
Forse dobbiamo chiederci: qual’è il nostro orizzonte? Quali orizzonti abbiamo messo davanti agli occhi degli uomini e delle donne? Quali mete lontane noi stessi sogniamo? Abbiamo invece l’impressione che oggi sia importante guadagnare molto, lavorare poco e «vivere bene». E sembra che questo cammino non abbia possibilità di ritorno.
Il discorso sulla «comunitarietà»: necessità di fare rete, di lanciare ponti, di creare relazioni.
Siamo in una situazione di crisi che non è solo economica, ma spesso le relazioni sono cercate solo in vista di un obiettivo economico. Allora è fondamentale prendere coscienza della situazione attuale e chiedersi su quali valori si vuole costruire relazione, reti e ponti.
Tutti dicono che siamo in un momento di crisi, ma di quale crisi vogliamo parlare? Siamo ad un punto cruciale per la specie umana. Tutto viene fondato sul progresso scientifico senza limiti di sorta. Al delirio di onnipotenza degli esseri umani è più che mai necessario opporre la conoscenza e la cultura dei limiti.
Non possiamo dimenticare che in due secoli abbiamo distrutto le risorse che la terra aveva costruito in milioni di anni e che stiamo consumando il pianeta su cui camminiamo. I responsabili politici ed economici del mondo ritengono che sia necessario ritornare a una situazione come quella che c’era prima della crisi economica, ma la crisi è stata provocata proprio dal sistema che aveva creato quella situazione. Come pensare che lo stesso sistema possa farci uscire dalla crisi? Sembra che non sia possibile inventare nulla di nuovo. La presidente della Confindustria d’Italia ha chiesto il permesso di poter inquinare l’atmosfera per salvare la produttività delle imprese!
La situazione che stiamo vivendo era già stata preannunciata e prevista 60-70 anni fa, quando la bomba atomica è caduta su Hiroshima e Nagasaki. La bomba fu giustificata dicendo che la scienza ha bisogno delle sue vittime, come ne ha bisogno lo sport e come la religione ha bisogno di martiri. Così si invoca un intervento a sostegno dei salari e delle pensioni per... rilanciare la domanda dei consumi. Così ugualmente si fa la proposta di una riforma della scuola per... rendere più competitivi i nostri studenti. Competitivi con gli studenti degli USA, la nazione che per prima è entrata nella crisi? Competitivi con la Russia, che ha instaurato un regime poliziesco? Competitivi con l’India, che ignora i suoi affamati?
Tutti questi sacrifici in funzione dell’aumento del Prodotto Interno Lordo (PIL), mentre i nostri giovani stanno perdendo sempre più il senso dell’avventura, dell’ignoto, della scoperta, della novità e della creatività... L’aumento del PIL non è certo un obiettivo da proporre come valore.
La crisi economica e la tragedia dei suicidi dovrebbero essere l’occasione per meditare sul senso della vita e cogliere l’occasione per comprendere che siamo alla mercé di poteri avidi e incontrollabili...
Solamente allora si avvertirà forse la necessità non di un’economia alternativa, ma caso mai di un’alternativa all’economia, come di un’alternativa alla scuola professionistica, o alla medicina specialistica.
Il capitalismo è fallito, dicono molti economisti, mentre i nostri principi di civiltà (accoglienza, convivialità, appartenenza, dono gratuito, senso dell’invisibile, del nascosto, dell’avventura...) sono praticamente disfatti. Siamo in una situazione di grave cinismo verso gli anziani, i malati, gli stranieri (quelli poveri, quelli di pelle scura... non certo verso gli stranieri di pelle bianca e ricchi), verso il diverso.
Siamo a competere persino sulla responsabilità, con il più sfacciato narcisismo, l’omertà, l’individualismo.
La scuola sembra essere il luogo privilegiato per rendere innocua ogni persona, mentre sarebbe necessario renderla capace di creatività e d’inventiva.
In questa situazione ormai estrema sembra essere non solo necessaria, ma addirittura obbligata la nostra presa di responsabilità nel fare rete, creare ponti, costruire relazioni. Forse dobbiamo anche superare la concezione di una società fondata sui diritti, riscoprendo la comunione, la comunitarietà come fondamento di un impegno comune che apra orizzonti nuovi, forse ancora tutti da inventare. Un lavoro che non potrà essere fatto da soli, perché la condivisione è il «metro» fondamentale per fare «umanità».

Prospettive
Siamo convinti che questo quadro pessimistico sia purtroppo realistico, ma siamo altrettanto convinti che non esaurisca tutta la realtà. Il «male» non ha ancora trionfato. Noi crediamo che un altro mondo è ancora possibile perché esiste, ed è necessario aprire gli occhi per accorgersene.
Il problema è che finora il buono esistente, anche tra noi, viene oscurato e sconfitto dalle «infrastrutture e strutture del male». Perché quel mondo possibile che esiste possa sopravvivere e crescere, dobbiamo creare altre strutture e altre reti, e indicare percorsi che conducano in quella direzione.
Non si tratta di «resistere» ma di fare, e di fare in un modo diverso, che sia coerente con l’approdo sperato.
Ci sono iniziative al riguardo che dobbiamo studiare ed avvicinare partendo dai nostri territori vicini: associazioni, cooperative di vario tipo, case famiglia, centri sociali per anziani o immigrati, e altro.
Forse questo tema può essere l’occasione per iniziare, laddove è possibile, un percorso in cui sapere e fare si fondono in modo nuovo.
E tutto questo ci impegna direttamente a continuare a lavorare nei nostri paesi.
Ma il nostro interesse per l’interculturalità ci apre forse un orizzonte nuovo: questi amici che vengono da lontano e che hanno saputo adattarsi da sempre alle situazioni di crisi, non potranno forse rivelarci un nuovo cammino? Questa gente del Sud, da noi tante volte disprezzata e commiserata, questa gente che siamo andati ad «aiutare» e a «salvare», non sarà propria quella che potrà aprirci orizzonti nuovi? Non saranno proprio questi popoli «naufraghi» a insegnarci a salire sulle zattere che loro sanno ancora costruire, riconducendoci a quell’inventiva, a quella capacità di sopravvivere che noi abbiamo perduto e che loro invece hanno conservato?
Sarebbe meraviglioso se il nostro lavoro interculturale potesse rivelarsi in un domani una preparazione ad apprendere come vivere e come sopravvivere nei nostri momenti di crisi.