di Agusti Nicolau-Coll Dal 6 al 9 dicembre 2003 hanno avuto luogo a Città del Messico un colloquio, un simposio e un forum nel quadro di un’iniziativa denominata America Profunda. L’iniziativa è stata promossa e organizzata da due membri del Riac(d): il Cedi (Centro de Estudios y Diálogos Interculturales), diretto da Gustavo Esteva (Messico), e il Pratec (Proyecto Andino de Tecnologias Campesinas), diretto da Grimaldo Rengifo (Perù). Lo scopo era quello di fare il punto sulla realtà delle alternative elaborate dai popoli indigeni delle Americhe e dai loro alleati più che di aprire uno spazio per la denuncia delle politiche e delle azioni rivolte contro di loro. Al di là dei mali che li affliggono, i partecipanti hanno dialogato su ciò che sono, su ciò che costituisce il loro «noi» plurale e sui sogni che danno un senso al loro lavoro quotidiano. Gli obiettivi erano tre: - Promuovere il riconoscimento dell’esistenza autonoma dei gruppi e dei popoli d’America chiamati comunemente indigeni, perché possano percorrere il proprio cammino in seno alle società in cui vivono.
- Identificare gli spazi e i luoghi di comunione che sembrano esistere fra questi gruppi e popoli e fra di essi e i gruppi che non si considerano indigeni, per scoprire fino a che punto tutti insieme potrebbero costituire gli strati più profondi, e a volte anche maggioritari, delle società nazionali del continente.
- Individuare, nelle iniziative di questi gruppi e popoli, eventuali elementi che potrebbero ispirare l’ideazione di nuovi percorsi inclusivi di trasformazione sociale.
I tre momenti previsti dal programma avevano gli stessi obiettivi, ma con livelli di partecipazione diversi. Al colloquio hanno preso parte 30 persone di vari paesi e popoli che in precedenza avevano già avuto uno scambio di idee sulle tematiche in questione. Per il simposio si sono aggiunte a questo gruppo altre 80 persone, anch’esse provenienti da diversi paesi e popoli. Il forum, in cui sono stati presentati i risultati del simposio e del colloquio, era aperto al pubblico ed ha avuto più di 300 partecipanti. Il colloquio prevedeva quattro sessioni tematiche: - Chi siamo: come si configurano i diversi «noi» che costituiscono la realtà sociale profonda, indigena o non indigena, delle società delle Americhe.
- Che cosa abbiamo in comune. I partecipanti hanno identificato gli elementi che i vari popoli e gruppi indigeni condividono, pur prendendo atto delle loro specificità e delle loro differenze. Hanno esplorato i tratti comuni dei rispettivi orizzonti di intelligibilità, delle cosmovisioni e dell’immaginario dei popoli indigeni, confrontandoli fra loro e con quelli dei non indigeni. Hanno cercato in tal modo di identificare gli elementi comuni a tutti coloro (indigeni o non indigeni) che non si riconoscono nei parametri occidentali moderni che predominano nelle società in cui vivono.
- I nostri sogni. Tutti questi gruppi e popoli, indigeni e non indigeni, hanno creato ed elaborato iniziative, progetti, risposte al modello politico, sociale ed economico della modernità occidentale. Si è cercato di comprendere la natura profonda di tali iniziative, chiedendosi fino a che punto sono diverse e alternative rispetto a quelle della modernità occidentale, quali sono le loro prospettive per il futuro, a quali ideali si ispirano… Si trattava di evidenziare le loro caratteristiche in rapporto al modello moderno predominante e di chiarire la portata e il significato di quello che gli zapatisti hanno definito fin dall’inizio della loro azione «un mondo che comprende più mondi», in alternativa alla pretesa occidentale moderna di creare «un solo mondo».
- Il senso delle nostre lotte. Questi gruppi e popoli hanno sviluppato diverse lotte, sia all’interno di ciascuno dei «noi», sia nei confronti di altri «noi» o anche del potere costituito del sistema dominante. Queste lotte sono di varia natura e hanno caratteristiche molto diverse. Ci siamo interrogati sul loro significato, sui loro obiettivi impliciti ed espliciti, sugli elementi comuni e sui punti di divergenza. Che senso hanno avuto per i gruppi coinvolti e per il resto della società? Fino a che punto è possibile trarne ispirazione per affrontare le difficoltà con cui si devono misurare le società delle Americhe?
Durante il simposio abbiamo lavorato su due argomenti principali: le proposte e le speranze. Le proposte ruotavano intorno alla «vita buona», al vivere insieme, al dialogo fra culture, alla transizione politica. Le speranze intorno al pluralismo radicale, ai sistemi normativi (politico e giuridico), agli accordi nel rispetto delle differenze e alla «democrazia». Dall’incontro sono emerse le linee fondamentali di un «Consenso dei popoli» in tredici punti: - Pluralismo radicale, nel senso della creazione di «un mondo che contenga più mondi», in contrasto con il dissolvimento di popoli e culture nel modello universale e uniforme promosso dalla cultura occidentale moderna.
- Dignità personale come fondamento che alimenta i popoli e le culture, permettendo il fiorire della loro diversità.
- Autonomia delle comunità e dei popoli di fronte al potere statale, basata sulla conservazione di sistemi normativi propri e sul loro riconoscimento.
- Un nuovo regime politico che riconosca costituzionalmente l’autonomia e l’autodeterminazione dei popoli, abbandonando le strutture di dominio degli stati-nazione per fondarsi sulla sovranità dei popoli e contrastare il disordine globalizzatore.
- Dare all’economia una posizione subordinata, collocando la politica e l’etica al centro della vita sociale, in modo che la gestione economica sia al servizio delle persone, delle comunità e dei popoli.
- Democrazia radicale, basata sulla democrazia comunitaria a carattere consensuale, per ricostruire la società con la partecipazione di tutti.
- Convivialità di fronte alla disgregazione sociale generata dal consumismo che determina sia una situazione di dipendenza dai prodotti e servizi, sia un atteggiamento di invidia in coloro che non possono accedervi.
- Coscienza comunitaria come baluardo contro l’individualismo possessivo e come condizione di armonia nella convivialità, nel pieno rispetto della libertà e dei diritti delle persone umane e della natura.
- Rifare il mondo, non tanto con la trasformazione delle strutture e delle istituzioni oppressive, quanto con la messa in opera di iniziative rivolte alla creazione di un mondo economicamente in grado di sopravvivere, socialmente giusto ed ecologicamente sensato.
- Autonomia degli scambi, al di là della falsa dissociazione fra il libero scambio, in cui dominano le società finanziarie che distruggono la nostra libertà, e il protezionismo, in cui sono le burocrazie a non proteggerci. La gente deve avere la possibilità di determinare le proprie scelte.
- Socializzazione dei beni e dei servizi, per far fronte sia alla privatizzazione che alla statalizzazione, per mezzo di un’amministrazione decentrata e autonoma, con la partecipazione diretta della gente.
- Servizio e reciprocità fra le coalizioni di coloro che sono scontenti del sistema dominante, in modo da ampliare le nostre interazioni e da essere reciprocamente solidali.
- Orizzonte e trascendenza. La nostra conoscenza vuole essere saggezza, per cui ci poniamo come obiettivo l’essere e non l’avere. Uno stesso principio ispira i nostri colloqui ed è al centro di tutti i nostri atteggiamenti, comportamenti e modi di vedere. Non si tratta di un principio dottrinale o ideologico. Nasce dal cuore, non dalla testa. Il suo nome è spiritualità.
La prospettiva della trascendenza e della spiritualità è stata presente in tutto l’incontro di America Profunda e continuerà ad esserlo nel progetto d’azione che il Cedi, il Pratec e l’Iim stanno elaborando in seguito a quell’incontro. La collaborazione dell’IIM all’iniziativa, che ha visto la partecipazione di Kalpana Das, presidente-direttrice generale, e di Agusti Nicolau-Coll, vice-direttore dell’IIM, ha già avuto un seguito nel luglio 2004 con il viaggio di quest’ultimo in Perù, su invito del Pratec.
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